Opinioni

Contrattazione. Lavoro e figli, la via tedesca

Francesco Riccardi martedì 28 gennaio 2014
Il sindacato dei metalmeccanici tedeschi Ig Metall chiede l’introduzione della settimana lavorativa di 30 ore per le famiglie nelle quali entrambi i coniugi sono occupati.La Germania è in una felice congiuntura caratterizzata dal record di occupati, un’economia in crescita e un governo stabile di grande coalizione. Nel quale, segnale culturale da non sottovalutare, il vicecancelliere Sigmar Gabriel ha chiesto il mercoledì libero per stare con la figlia piccola. E, soprattutto, la ministra della famiglia Manuela Schwesig sta studiando una proposta per concedere a entrambi i genitori una settimana lavorativa ridotta a 32 ore – a parità di stipendio – durante i primi anni di vita dei figli. Nell’idilliaca situazione tedesca, infatti, il grande neo è rappresentato dal fenomeno della denatalità, con un tasso di fertilità di appena 1,38 figli per donna. Nonostante generosi aiuti fiscali, la Germania resta lontana dalla soglia di 2 figli per donna che assicura il normale ricambio generazionale. La situazione in Italia è molto diversa: abbiamo sì un record, ma di disoccupati; l’economia è in forte difficoltà e il governo è tutt’altro che stabile. In compenso, pure noi scontiamo un processo di denatalità, con 1,43 figli per donna.La riflessione avviata in Germania, allora, suggerisce l’ineludibilità di due temi. Il primo è che la conciliazione tra lavoro e famiglia è il nodo fondamentale – perfino più di quello fiscale – da sciogliere per favorire la ripresa della natalità e con essa dello sviluppo di un Paese moderno. Agendo sugli orari per i lavoratori dipendenti, ma non meno su diritti, tutele e sostegno per quelli autonomi e parasubordinati. Tra le donne lavoratrici che hanno avuto un bambino in Italia nel 2012, infatti, il 91% aveva un contratto a tempo indeterminato e appena il 9% uno a termine. Segno che pochissime giovani si azzardano a volere un bambino prima di aver conquistato – sempre più a fatica – la sicurezza del "posto fisso". Il secondo è che, dopo la grande crisi, si porrà la necessità di ripartire la quantità di lavoro rimasta. Come conciliare questa redistribuzione con un livello accettabile di salari e una competitività da mantenere alta sarà il nuovo "modello sociale europeo" da costruire.