Opinioni

La strage al Museo Bardo. Macigno sulla via dell'islam moderato

Andrea Lavazza mercoledì 18 marzo 2015
​I turisti europei nel mirino, dopo che probabilmente era fallito l’attacco al Parlamento (primo bersaglio come era successo in Canada). Dalla Tunisia una nuova, macabra e allarmante indicazione che l’Is può mobilitare cani sciolti del terrorismo per provocare panico e insicurezza. In un Paese che ha sta faticosamente compiendo il percorso di costruzione di un islam politico moderato dopo la prima della Primavere arabe, la presa di ostaggi e la strage al museo del Bardo rischia di imprimere una svolta negativa. Dalla meno popolosa delle nazioni nordafricane sono migliaia i giovani partiti per combattere in Siria e poi arruolarsi nel Califfato. Segno che la predicazione estremistica ha messo radici anche in un terreno dove invece i partiti laici sono riusciti a scrivere con i musulmani non radicali una Costituzione fra le più aperte e avanzate del mondo arabo. Non si può dimenticare a questo proposito che nell’aprile 2012 al-Qaeda riuscì a colpire proprio in Tunisia la sinagoga di Djerba, simbolo di una delle più antiche comunità ebraiche nel mondo islamico, vissuta per secoli in pacifica e fruttuosa convivenza con la popolazione locale. Tutto questo rende ancora più cupo lo scenario aperto dall’azione dei tre miliziani, insieme con il fatto che a essere coinvolti sono stati centinaia di visitatori occidentali. Come sempre quando è colpita l’industria turistica, si indebolisce l’economia del Paese e lo si rende più vulnerabile alle spinte estremistiche. Ma c’è anche la paura che la pronta rivendicazione dell’Is ha messo in circolo nell’intero sistema mediatico. Le foto dei civili a terra nelle sale del museo, il terrore dipinto sui loro volti, l’apprensione per le centinaia di connazionali in pericolo sono il frutto avvelenato che un’azione militarmente limitata è riuscita a produrre. I nuovi strumenti di comunicazione, di cui lo Stato islamico è purtroppo fin troppo raffinato utilizzatore, diventano alleati della campagna di propaganda violenta che suscita nuove adesioni a ogni “successo”. Difficile spezzare questa catena, ma diventa sempre più urgente mettere in condizione di non nuocere l’epicentro del contagio, quel Califfato che tra Siria e Iraq guida idealmente il terrorismo anche a migliaia di chilometri di distanza.