Opinioni

Caso Saronno e non solo. L’«atto dovuto» che meritiamo

Ferdinando Camon sabato 3 dicembre 2016

La storia del medico anestesista di Saronno e dell’infermiera sua amante, che hanno ucciso (così pare) numerosi pazienti con metodo e (questa è la parola più difficile da aggiungere) con gioia, i lettori la leggono con emozione, perché un dubbio li tormenta: e se capitasse a noi? come potremmo salvarci? Un giorno ci sentiamo male, ci portano all’ospedale, ci scaricano in un reparto, siamo nelle mani di qualche medico e qualche infermiere, e se questi sono pazzi? Se ci ammazzano? Questo è lo stato d’animo dei lettori che ogni mattina leggono nuovi particolari sui cosiddetti 'amanti diabolici', che programmavano ed eseguivano delitti a catena. Di chi possiamo fidarci? Perché è chiaro: se siamo nelle mani di qualcuno, e quel qualcuno ci ammazza, allora il colpevole è lui, e lui solo.

Magari fosse così! Magari bastasse, in questo ospedale di Saronno, processare e condannare il duo medico-infermiera per poter dire che l’ospedale è bonificato! Ma qui il problema non è 'perché un medico' o 'perché un’infermiera uccidevano', ma 'perché nessuno li fermava'. Un funzionario di una struttura, ospedale esercito scuola…, può impazzire, ma la struttura non può impazzire, deve funzionare in modo da bloccare la pazzia, in un tempo ragionevolmente breve. Non deve succedere che, se in un ospedale si ripetono a catena morti sospette, gli utenti di quell’ospedale se ne accorgano e si facciano ricoverare in sedi più lontane, ma i dirigenti e gli amministratori non trovino niente di sospetto.

Qui il medico assassino aveva autorità e potere, era viceprimario, stabiliva le terapie e dava ordini, ma qualcuno di questi ordini era così palesemente insensato (per esempio, prescriveva una combinazione di farmaci troppo potenti e in dosaggio troppo elevato), che c’era nel personale chi si rifiutava di eseguire la terapia. La domanda (da semplice utente di ospedali, quale sono, che ogni tanto si ammala e si fa curare) è: perché chi sta più in su non interveniva? Un caso mortale, può sfuggire. Non dovrebbe sfuggire, perché anche un solo caso mortale (un omicidio volontario), in un ospedale, dovrebbe allarmare tutta la catena dirigenziale, di quell’ospedale e dell’Usl a cui appartiene. Però due morti sospette non devono passare.

Tanto meno tre. Impossibile quattro. Assurdo cinque o più. Adesso stanno spulciando una cinquantina di casi. Allora qui si genera la psicosi. Non verso un medico o un’infermiera, ma verso la struttura della Sanità. E la Sanità non lo merita, perché ha tanto personale eroico che lavora e supplisce con fatica e sacrificio a carenze di ogni genere. L’utente non deve sperare nella buona fede e nella capacità di un medico o di un infermiere, ma nell’efficienza della struttura e nella bontà dei controlli. Qui il cervello m’impone un paio di voli pindarici, che possono apparire non pertinenti, ma invece una relazione ce l’hanno.

È appena caduto quell’aereo in Colombia, e le registrazioni dei dialoghi tra la torre di controllo e il pilota fanno pensare che sia caduto per mancanza di benzina. Avrebbe finito la benzina 8 miglia prima dell’atterraggio. Qui non c’è da prendersela col pilota, ma con le procedure: un aereo che parte per un volo ma ha un carico di benzina insufficiente, non dovrebbe 'tecnicamente' poter partire. Un computer dovrebbe bloccarlo. Io uso computer Apple, che all’inizio erano piccolini e delicati. Una volta ho caricato un lungo elenco di titoli di libri e gli ho chiesto: 'Mettilo in ordine alfabetico'.

Il computer ha aperto una finestra e mi ha risposto: 'Ho scarsità di memoria, non avvierò questa operazione'. Al pilota che accendeva i motori per quel volo, l’aereo doveva rispondere: 'Ho scarsità di benzina, non partirò per questo volo'. E l’ospedale di Saronno doveva dichiarare alla mattina: 'Ho scarsità di fiducia, non aprirò questo reparto'. È quel che si dice 'un atto dovuto'.