Opinioni

L’arroganza genera violenza. Che cosa dicono le aggressioni a insegnanti e medici

Carla Collicelli giovedì 10 maggio 2018

Ci siamo quasi assuefatti al succedersi di fatti di violenza nella vita di tutti i giorni, alla loro rappresentazione mediatica (per quanto riguarda i fatti realmente avvenuti) e alla loro amplificazione filmica (per quelli immaginati e riprodotti nelle fiction e nel cinema). E per certi versi tendiamo a considerarli un qualcosa di inevitabile, in quanto legato a innate pulsioni della natura umana, come la psicanalisi insegna e come la storia dell’umanità certifica.

Per altri versi, le statistiche ci dicono che la grande criminalità e i grandi delitti sono in calo, almeno secondo i numeri delle denunce e dei casi registrati, il che induce talvolta a un atteggiamento consolatorio e ottimista. Checché ne dicano i numeri, però, non è possibile rimanere insensibili di fronte ad almeno tre fenomeni sicuramente in crescita: la micro-conflittualità interpersonale nelle strade e nei condomini, la violenza sulle donne nelle famiglie e negli ambienti di vita e di lavoro e le aggressioni nei confronti di operatori e professionisti.

Si tratta in tutti e tre i casi di forme particolarmente esecrabili di sopraffazione e di attacco nei confronti di persone innocenti, che segnalano l’ispessimento di una dimensione patologica del vissuto dei nostri giorni. Nel caso della microconflittualità delle strade e dei condomini entra in gioco il venire meno della capacità di dialogo e di relazione nei confronti degli altri, dei diversi da sé, o più semplicemente di chi si trova inaspettatamente a interferire con i nostri desideri e con la nostra autoreferenzialità, anche rispetto a questioni di scarsa importanza. Nel caso della violenza sulle donne, nelle famiglie e nei luoghi di vita e di lavoro, gli interrogativi che si pongono riguardano la confusione tra amore e possesso, la reificazione della donna e del suo corpo e di nuovo la incapacità di dialogare, ascoltare, capire e promuovere uno scambio positivo tra persone.

Nel caso delle aggressioni nei confronti di operatori e professionisti, tristemente in aumento verso medici, insegnati e operatori pubblici in generale, siamo di fronte a un fenomeno in parte nuovo. Da un lato, anche in questo caso, ci si interroga su come possano sussistere comportamenti tanto primitivi in un contesto sociale che sembrerebbe andare in un’altra direzione, con la crescita dei livelli culturali e sociali della popolazione.

Ma, da un altro lato, entra in gioco qui il tema delle competenze e delle responsabilità professionali. Chi infatti aggredisce un medico o un infermiere perché reputa che sia stato commesso nei suoi confronti, o di quelli di un familiare, una scorrettezza o un errore, o semplicemente perché non sopporta o non accetta le regole della istituzione che quel professionista rappresenta, esprime un sentimento di disprezzo nei confronti delle istituzioni e di chi le rappresenta, una non considerazione delle funzioni e dei ruoli stabiliti dalle regole istituzionali, una svalutazione delle competenze professionali. E chi attacca un insegnante nello svolgimento della sua attività didattica è portatore di un medesimo atteggiamento di disprezzo nei confronti della autorità, della competenza e della cultura che l’insegnante rappresenta.

Chi picchia un autista o un ufficiale pubblico non riconosce che nella società ci sia bisogno di ruoli, competenze e responsabilità che siano stati formati e certificati. Nella analisi che vengono solitamente svolte su questi fenomeni si pone spesso l’accento sulle colpe delle famiglie e della comunicazione di massa. E in effetti sono evidenti la fragilità del tessuto familiare, la banalizzazione crescente delle relazioni intergenerazionali, il senso di distacco ed estraneità tra genitori e figli. Come è anche evidente la contraddizione stridente tra i livelli crescenti di esposizione mediatica e la diffusa incapacità di elaborare culturalmente le immagini e i messaggi veicolati dai media.

Ma nel caso di operatori e professionisti entra in gioco anche un altro elemento, spesso trascurato, quello della non considerazione della competenza professionale, della formazione e della assegnazione di responsabilità gestionali. Il che apre le porte a un ulteriore salto in avanti nelle forme di violenza: non più solo contro il vicino che disturba o la fidanzata che ci ha lasciato, ma anche contro chi è preposto a gestire i servizi sanitari, o quelli scolastici, o quelli cittadini.

La rivalutazione delle competenze e responsabilità operative e professionali diventa allora un obiettivo da porre al centro della vita pubblica contemporanea e occorrerebbe riflettere con particolare attenzione sui cattivi esempi che nella realtà si offrono sempre più spesso in termini di sottovalutazione della professionalità e di arroganza incompetente.