Opinioni

Sgominare le cosche. L'antimafia del buon uso: far fruttare i beni confiscati

Antonio Maria Mira giovedì 19 febbraio 2015
Trecentoventi milioni di euro, una cifra enorme e importante, soprattutto perché costituita da decine di imprese. È il 'tesoro' confiscato ieri al clan camorrista guidato da Edoardo Contini. Un pezzo non piccolo della nostra economia, frutto di denaro accumulato illegalmente, ma ormai parte del sistema. Aziende non totalmente regolari – è la (s)regola delle mafie –, ma che operavano alla luce del sole, come i 41 distributori di carburante, alcuni dei quali autostradali. Aziende con decine di dipendenti, forse non tutti pagati il giusto, ma comunque tutti occupati. Ecco l’immagine delle 'cosche imprenditrici', che creano reddito, investono, danno lavoro (magari nero o poco sicuro), ma lo danno e così acquistano consenso che, assieme ai soldi, è il fine ultimo delle mafie. Ora queste imprese, come centinaia di altre, finiscono in mano allo Stato. Con che destino? Ieri la presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi ha denunciato che «gran parte dell’immenso patrimonio sottratto alla criminalità organizzata è oggi inutilizzato o utilizzato solo parzialmente». E questo, ha avvertito, «rischia di diventare motivo di consenso per le mafie». Quante volte, purtroppo, nel Sud abbiamo sentito dire che «la mafia dà lavoro e lo Stato lo toglie». Inutile o difficile spiegare che il primo è illegale e il secondo no, quando il secondo non c’è. Soprattutto in questi anni di crisi, crisi che le mafie non sentono e che, anzi, utilizzano per fare affari e acquisire aziende in difficoltàro. Non bastano dunque le pur importanti confische, frutto del prezioso lavoro di magistrati e forze dell’ordine che corre il rischio di essere vanificato. Certo, bisogna potenziare l’Agenzia nazionale per i beni confiscati che, come ha affermato ieri il suo direttore, prefetto Umberto Postiglione, «è ampiamente sottodotata», in personale e mezzi. Ma serve anche altro. E allora fa ben sperare l’affermazione del viceministro dell’Economia, Luigi Casero secondo il quale serve «un intervento non solo giuridico, ma economico», soldi «per far fruttare questi beni e farli diventare un esempio». Ottima proposta. Per tagliare del tutto i legami di queste aziende col passato mafioso bisogna garantire un futuro di legalità e dare lavoro vero e sicuro.