Opinioni

Botta e risposta. Aggressività di Trump, dibattiti tv e valori di un'America divisa

Andrea Lavazza venerdì 9 ottobre 2020

Gentile direttore,

ho letto con attenzione le cronache sul dibattito presidenziale Usa tra il presidente repubblicano Trump e lo sfidante democratico Biden e in particolare l’editoriale di Andrea Lavazza dello scorso primo ottobre: «Iroso assaggio di declino (e in mondovisione)». 'Avvenire', per me, è sempre illuminante su quanto succede nella mia patria lontana e nel mondo. Ammetto però di non aver capito perché l’editorialista tenda a mettere sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore, insinuando anche che Biden non sia stato abbastanza fermo nella condanna della violenza. Ho seguito vari momenti e mi è parso che Biden, ripetendo a voce alta «Law and Order» (che nell’ormai mio mondo anglosassone – vivo nel Regno Unito –, è una ferma ed esplicita condanna di ogni forma di violenza) e poi, a proposito dei disordini di Portland, Oregon, ribadendo pacatamente il rifiuto di azioni illegali, abbia mostrato chiaramente quale sia la sua posizione. E questo anche se purtroppo è stato interrotto ripetutamente. È comunque vero che in troppe occasioni Biden ha perso le staffe, reagendo come un adolescente... ma forse possiamo giustificarlo per aver avuto di fronte chi lo ha pubblicamente definito «un vecchio rimbambito» (spero di aver tradotto bene). Però, per lo più, il candidato democratico ha mantenuto un decoro e toni che son propri di quell’America che conobbi 40 anni fa come studente Fulbrighter e che ancora esiste: tollerante, dei diritti civili, forte, altruista e che considera la menzogna il peggiore dei crimini. Per questo c’è differenza tra chi si arroga il 'diritto' di mentire e chi ha il coraggio di dire: «Sei un bugiardo». Grazie per aver avuto la pazienza in leggermi.

Livio Alchini, Harpenden (Gran Bretagna)


Gentile dottor Alchini,

grazie, anche da parte del direttore Tarquinio, per l’attenzione con cui segue 'Avvenire' dalla Gran Bretagna. Le rispondo all’avvicinarsi del secondo dibattito presidenziale e dopo il confronto tra i candidati vicepresidenti (che ci ha consegnato una discussione sobria e credibile, con toni e contenuti adeguati; ma sappiamo che i numeri due Pence e Harris, soprattutto in casa repubblicana, hanno attualmente poca influenza sui numeri uno). Lo scenario di questo mese che porta al voto per la Casa Bianca è ricco delle proverbiali 'sorprese di ottobre'. L’ultima delle quali è il contagio di Donald Trump. Ciò ha provocato un repentino cambio dell’agenda elettorale, riportando in cima l’emergenza Covid e le ricette per affrontarla. Potremo verificare se questo comporterà anche un cambio di toni che, nel primo faccia a faccia, sono stati fin troppo accesi. Ha ragione nel sottolineare che a Cleveland Trump è stato aggressivamente all’attacco e Biden spesso ha rintuzzato con veemenza. Non nego che lo sfidante abbia anche cercato di ribadire la sua posizione moderata di fronte alle fiammate di violenza che stanno accompagnando le legittime proteste della comunità afroamericana (e vedremo se l’inopinata liberazione su cauzione dell’agente presunto omicida di George Floyd riaccenderà gli scontri). Ritengo tuttavia che nel complesso l’esponente democratico non sia riuscito a far passare con efficacia quel messaggio, complice certo il clima da rissa permanente che il presidente in carica ha cercato di instaurare, malgrado gli apparenti sforzi del moderatore Chris Wallace di Fox News.

In realtà, anche in prospettiva del secondo duello, va rilevato come la conduzione abbia finito (involontariamente o meno) con il generare quel clima. Le domanda infatti erano tutte orientate a suscitare risposte di valutazione personale di una situazione controversa o di una scelta politica già compiuta, cioè proprio il tipo di domande che si prestano poco all’oggettività e molto alla partigianeria fino, come si è visto, all’insulto. Domande del tipo: 'Che cosa vuole fare in futuro di fronte a questo problema?' stimolano invece una competizione positiva che porta eventualmente i candidati a promesse irrealistiche per superare l’avversario, ma con meno facilità conducono a un discorso distruttivo e ad attacchi reciproci diretti. L’idea di cambiare le regole del prossimo round a Miami chiudendo i microfoni a uno dei partecipanti quando parla l’interlocutore potrebbe rendere il confronto più pacato e costruttivo. Se poi lo svolgimento fosse virtuale, come proposto ieri, lo scenario sarebbe ulteriormente modificato. Nel caso invece Trump persistesse nel suo rifiuto della modalità 'da remoto', facendo saltare l’appuntamento, la mossa sarebbe senza precedenti. Ma è più probabile che alla fine ci si accordi per uno slittamento con cambio delle date.

Quanto all’America tollerante e altruista che si può ricordare con nostalgia, ma che certamente ancora esiste, gentile dottor Alchini, essa sembra messa ai margini di una politica che cerca di creare identità monolitiche e rigidamente contrapposte per alimentare una militanza dura fino all’esclusione del dialogo e del riconoscimento reciproco. È questa la minaccia finale che lo stesso Trump ha fatto balenare e che tutti dobbiamo sperare sia soltanto un’improvvida arma retorica. La città sulla collina che la democrazia americana assume tra le proprie immagini fondative è stata sia una delle giustificazioni autoassolutorie dell’eccezionalismo e dell’espansionismo Usa sia un reale esempio per le altre nazioni in cerca di modelli sociali e politici. Il livello e la qualità dei leader, che si rispecchiava anche nei dibattiti presidenziali, oggi punta verso il basso con il rischio che quella luce che s’irradiava dall’alto si affievolisca pericolosamente. Se in Europa l’impennata populista sembra avere superato il suo picco, non possiamo che auspicare una simile parabola anche negli Stati Uniti. Per rivedere, presto, un dibattito con idee e visioni per un comune futuro migliore.