Opinioni

Gesti dimostrativi. La zuppa sul vetro di un dipinto è più grave che alterare il clima?

Andrea Lavazza martedì 8 novembre 2022

Le attiviste di “Ultima generazione” dopo aver imbrattato “Il seminatore” di Van Gogh, in mostra a Roma

La polemica attorno agli atti dimostrativi verso le opere d’arte da parte di alcuni gruppi ambientalisti Ogni azione ha conseguenze. Grandi o minime, importanti o di scarso rilievo. Se giudichiamo un’azione dai suoi effetti (e non è l’unico criterio), la difficoltà nasce dalla possibilità che le conseguenze non siano immediatamente osservabili. E questo elemento può falsare la percezione e il giudizio. Andiamo subito al punto. È in corso in Egitto la Cop27, conferenza mondiale sul clima. Non ci si aspetta molto, dopo che gli impegni presi l’anno scorso a Glasgow sono stati disattesi da gran parte delle nazioni. Un recente rapporto curato dalla rivista medica “Lancet” ha stimato che l’inquinamento uccida 7-8 milioni di persone ogni anno nel mondo. L’aumento della temperatura con le conseguenti ondate di caldo ha fatto salire i decessi relativi del 68% da inizio secolo a oggi (15mila quest’anno), ma aggravato anche l’emergenza alimentare, che vede nel mondo 828 milioni di persone malnutrite.

E poi ci sono gli eventi meteorologici estremi sempre più frequenti: le recenti alluvioni in Pakistan hanno sommerso un terzo del Paese con oltre 1.300 vittime. Per non parlare dei profughi forzati a lasciare le proprie terre per l’innalzamento dei mari. Ne danno un quadro preciso e devastante Telmo Pievani e Mauro Varotto in un libro appena pubblicato da Cortina: Il giro del mondo nell’Antropocene. Il nostro fallimento nel contrastare il global warming nei secoli si tradurrà nella fusione totale delle calotte glaciali con una crescita del livello delle acque di 65 metri. Le terre emerse si ridurrebbero di 23 milioni di chilometri quadrati, oltre il 15% del totale. Sparirebbero Olanda e Danimarca, l’Italia perderebbe l’intera Pianura padana, sarebbe sommerso un terzo di Germania e Gran Bretagna, solo per parlare dell’Europa. La gran parte delle piccole isole non esisterebbe più.

Niente di meglio che godersi questa lettura futuristica e distopica (ma basata su dati scientifici, gli ultimi 8 anni sono stati i più caldi della storia conosciuta) su un jet privato diretto verso un paradiso tropicale in cui nulla sembra indicare che l’apocalisse si stia avvicinando a noi. Tuttavia, secondo i dati della Ong Transport and Environment, in un'ora di viaggio, un solo aereo executive di questo tipo può emettere due tonnellate di CO2, contribuendo significativamente all’alterazione climatica. Non a caso sabato 500 attivisti, legati a Greenpeace e a Extinction Rebellion, hanno manifestato all’aeroporto di Schiphol, ad Amsterdam cercando di bloccare i voli non di linea, fronteggiati da un ampio schieramento di polizia. Nelle stesse ore un'azione di protesta e sensibilizzazione ha di nuovo preso di mira l'arte.

Due attiviste di Futuro Vegetal si sono incollate alle cornici dei dipinti La Maja desnuda e La Maja vestida di Goya, esposti al Museo Nazionale del Prado a Madrid. Sulla parete il messaggio “+1,5” per mettere in guardia sull'aumento della temperatura globale, foriera di conseguenze nefaste. Il giorno prima un gesto simile era stato compiuto a Roma, dove quattro ragazze del gruppo “Ultima generazione” avevano lanciato zuppa di piselli contro il quadro, protetto da un vetro, Il seminatore di Van Gogh, esposto a Palazzo Bonaparte. Identificate dai carabinieri, le autrici sono ora indagate per un reato specifico che prevede pene fra sei mesi e tre anni. Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano l’ha definito «un atto ignobile da condannare fermamente. Ci sono altri modi per esprimere il dissenso».

Se prendiamo sul serio il cambiamento climatico, ha conseguenze più gravi volare su un jet privato per una vacanza che si potrebbe fare utilizzando un altro mezzo, oppure sporcare la protezione di un dipinto con un danno monetario ridotto? Gesti dimo-strativi nelle gallerie d’arte sono stati compiuti in Gran Bretagna, Germania e Francia. Si può certo dissentire dalla modalità di questi ultimi, ma nessuno viene fermato o minacciato di carcerazione, e pochi si stracciano le vesti, davanti alla massiccia, non necessaria e devastante immissione di CO2 nell’atmosfera.

Ci sono tanti modi di protestare, certo. Greta Thunberg, a 15 anni, ha inventato nel 2018 lo sciopero per il clima: non andare a scuola ogni venerdì per fare pressioni sui governi, quello svedese innanzi tutto, inadempienti rispetto agli impegni sull’ambiente. Allora si disse che fosse una scelta diseducativa. Prima viene la scuola, la formazione, la disciplina. Dopo, si potrà condurre la lotta in altra maniera. A Berlino sono di questi giorni le accuse a due esponenti del movimento “Last Generation” che si erano incollati all’autostrada A100 provocando un blocco del traffico e (forse) il ritardo nei soccorsi a una ciclista investita a chilometri di distanza e poi deceduta. Le conseguenze delle nostre azioni spesso ci sfuggono o non sono prevedibili. Questo ci deve condannare all’inerzia? Più probabilmente, ci deve consigliare prudenza e attenta considerazione. Che sono (forse) mancate agli ecologisti che invadono le strade. Lo fa anche “Ultima generazione” a Roma, sfidando l’ira degli automobilisti (giustamente?) inferociti. Governo e opposizione in Germania invocano pene severe per tutti gli attivisti mentre riaprono le centrali a carbone e non pensano a mettere un limite di velocità sulle grandi arterie.

La sensibilità ai temi ambientali, a dispetto delle apparenze, stenta a diffondersi. Due filosofi e bioeticisti, Julian Savulescu e Ingmar Persson, già dieci anni fa avevano proposto di potenziare moralmente i cittadini che, su alcune questioni, non riescono a trovare motivazioni per cambiare i propri comportamenti individuali, pericolosi per la società quando si sommano (nel libro Inadatti al futuro, Rosenberg&Sellier). E l’indifferenza alla questione del cambiamento climatico è uno di questi. Non esiste un farmaco che possa rendere le persone più disponibili a inquinare di meno sopportando qualche sacrificio personale. Se esistesse, però, lo si dovrebbe imporre a tutti i cittadini? O c’è un diritto a essere liberi di rimanere egoisti e indifferenti al bene comune? Dilemmi enormi. Ma l’eccezionalità della situazione del Pianeta e la lentezza delle risposte potrebbero giustificare interventi non ordinari. Lo sostiene per esempio Roger Allam, uno dei fondatori di Extinction Rebellion, gruppo nato in Inghilterra e ora diffuso in vari Paesi, Italia compresa. Di Hallam, 56 anni, già agricoltore biologico in Galles e poi ricercatore a Londra, è uscito due anni fa il manifesto Altrimenti siamo fottuti! (Chiarelettere). La strategia è quella del movimento attivo dal 2018: azioni eclatanti per convincere i governi a intervenire contro la crisi climatica, in primo luogo fermare l’uso di combustibili fossili, come chiede anche Just Stop Oil, collettivo responsabile dell’attacco ai Girasoli di Van Gogh. Ma quanto eclatanti possono essere i gesti dimostrativi?

Come far saltare un oleodotto. Imparare a combattere in un mondo che brucia è il titolo di un pamphlet dello studioso svedese Andreas Malm, da poco tradotto in italiano da Ponte alle Grazie, che fa discutere a livello internazionale. Malm propone di superare l’opzione della nonviolenza totale rifacendosi ad alcune battaglie del passato per i diritti, a cominciare dall’abolizione della schiavitù. Si tratterebbe di colpire simbolicamente le infrastrutture dell’economia capitalista basata sull’uso di energia clima-alterante, mai però persone o beni pubblici. Qualcosa che, da un certo punto di vista, confina da vicino con il terrorismo. D’altra parte, i movimenti come Extinction Rebellion parlano di disobbedienza civile, la cui caratteristica è quella di essere una violazione della legge volontaria, pubblica e nonviolenta messa in atto con lo scopo di provocare un cambiamento nella legge o nelle politiche governative. La disobbedienza civile in genere si attiene al rispetto del sistema, accetta le conseguenze giudiziarie delle proprie infrazioni (di qui la strategia degli arresti di massa propugnata da alcuni gruppi) e si colloca tra la protesta legale e forme più radicali come la disobbedienza “incivile” (per esempio, l’assalto agli stabulari per liberare gli animali usati per esperimenti). Di fatto, iniziative in seguito celebrate come passi verso importanti conquiste, come i Tea Party per l’indipendenza americana, la marcia del sale di Gandhi per l’indipendenza indiana e le incursioni delle suffragette per il diritto di voto alle donne, hanno comportato in quel momento illegalità e danni materiali a beni altrui.

Se i Fridays for Future dei giovani non smuovono i leader e le industrie, se le azioni di danneggiamento sono condannabili e controproducenti per la causa (come pare ritenere la maggior parte dell’opinione pubblica e degli analisti), è urgente riflettere in modo approfondito su come si possa sensibilizzare efficacemente al pericolo del cambiamento climatico incombente per noi tutti, ma che tanti sembrano non vedere.