Opinioni

Rischio tunisino e silenzio dell'Europa. La voce spezzata, la voce che manca

Riccardo Redaelli giovedì 7 febbraio 2013
Ancora martedì sera, Chokri Belaid, aveva lanciato il suo utimo atto d’accusa: Ennahda ha assoldato dei «mercenari» per sabotare le riunioni del suo partito, i patrioti democratici. Una triste profezia. Sabato scorso a Le Kef i «salafiti» aveva ferito 11 militanti democratici riuniti in un congresso regionale. Un vero «piano eversivo» – aveva denunciato Belaid mentre la crisi politica si faceva ogni ora più grave – e di cui è stata pure la prima vittima. Una moto con due persone a bordo era appostata verso le 9 del mattino nel quartiere residenziale di El Menzha di Tunisi: quattro colpi esplosi a breve distanza colpendo alla testa, alla nuca e al torace il 48enne avvocato. Un agguato preparato da killer che, rivelava più tardi il premier Hamadi Jebali, indossavano il “burnos”, l’abito tradizionale usato nelle campagne dai musulmani fondamentalisti. Un omicidio politico che potrebbe pure mettere fine alla Rivoluzione dei gelsomini.Un vero “colpo al cuore” alla Tunisia laica che, in nome della Rivoluzione dei gelsomini, in poche ore è scesa nuovamente in piazza. Appena raggiunto dalla notizia Abdelmajid Belaid, fratello di Chokri, puntava il dito contro il leader di Ennahda, l’islamico-moderato Rached Gannouchi: «Lo accuso della sua morte, è lui l’assassino». Un «omicidio politico» ammetteva pure il premier Hamadi Jebali che subito si rivolgeva ai tunisini perché «non cadano nella trappola, di chi vuole far piombare il Paese nel disordine». Condanna dell’assassinio e preoccupazione condivisa pure Gannouchi: i tunisini vigilino «contro chi vuole minacciare la pace civile», ammoniva. Un gesto compiuto dai «nemici della rivoluzione» che rifiutiamo, dichiarava da Strasburgo il presidente Marzouki.Un coro di disapprovazione, ma i quattro colpi sparati ieri mattina nel centro di Tunisi hanno scoperchiato la frattura trasversale che a poco più di due anni dall’inizio della primavera sta tagliando come una lama tutta la Tunisia. Lo stesso Belaid – martedì sera in una apparizione televisiva – aveva denunciato un vero piano eversivo da parte di Ennahda per prendere il controllo dell’apparato statale, dei tribunali e dell’esercito. Un disegno che il Fronte popolare – il cartello che riunisce tutte le opposizioni – ha deciso di contrastare rompendo ogni trattativa politica: ritirati tutti i deputati dall’Assemblea costituente e sciopero generale in concomitanza con i funerali di Belaid. Saranno Venerdì, giornata di protesta nazionale, mentre la giustizia tunisina si fermerà già oggi in segno di solidarietà con la vittima, apprezzato avvocato penalista.Una vera spaccatura all’interno delle ancora fragili istituzioni nate nel dopo Ben Ali mentre la piazza ha cominciato a ribollire. Appena diffusa la notizia dell’assassinio di Belaid, migliaia di manifestanti si radunavano davanti al ministero dell’Interno sull’avenue Bourghiba. La polizia era costretta a lanciare lacrimogeni e alzare barricate, ma la protesta in poche ore era generale. Nelle stesse ore a migliaia si radunavano davanti all’ospedale dove era stato trasportato il corpo privo di vita del leader di Nidaa Tounes e lo scortava, come un simbolo di resistenza, fino all’obitorio.Solo una premessa, pare di capire, di quello che saranno i funerali mentre a migliaia scendevano in piazza in diverse città del Paese, inclusa Sidi Bouazid, “culla” della rivoluzione che nel 2011 segnò la caduta del regime di Ben Ali. Un imponente dispositivo di sicurezza era dispiegato a protezione della sede centrale di Ennahda, nel quartiere Montplaisir della capitale. Stesse precauzioni davanti alla casa di Rached Gannouchi, presidente di Ennahda, ma a sera un agente cadeva negli scontri. Con un Paese a rischio frantumazione il premier Jebali, a sera, giocava un’ultima carta: si dimetterà per formare un nuovo governo tecnico mentre ha chiesto all’Assemblea costituente di accelerare i lavori per approvare una nuova carta. Una road map per eleggere quanto prima un nuovo Parlamento, in una Tunisia – si spera – riconciliata.