Opinioni

Educazione. La vocazione dei genitori non è soltanto riproduttiva e affettiva

Daniele Novara giovedì 21 luglio 2022

Caro direttore, ringrazio il sociologo Massimiliano Padula per aver dialogato con il mio intervento sul recente fenomeno dei bambini aggressivi con i genitori. Un’aggressività che porta addirittura a usare le mani. Si tratta di una modalità profondamente diversa da quella che è stata l’esperienza di tanti figli delle generazioni precedenti che subivano spesso le punizioni fisiche da parte dei genitori. Il bambino degli anni Sessanta, per esempio, era “specializzato” nel ricevere i cosiddetti saruc – in dialetto piacentino –, che consistevano nel dito indice che, sbucando dal pugno, strisciava violentemente sulla testa provocando un vero e proprio dolore.

Nessuna nostalgia del passato, piuttosto una richiesta di maggiore attenzione verso bambini e bambine che agiscono direttamente la loro rabbia verso gli adulti, genitori ma anche insegnanti come, dopo il mio intervento, alcuni docenti mi hanno segnalato. Nella possibilità di picchiare gli adulti vedo nei piccoli una forma particolarmente accentuata di sofferenza educativa. Come scrive Padula, il rapporto genitori- figli è profondamente cambiato, eppure i bisogni educativi dei bambini sono sempre gli stessi: che i genitori siano punti di riferimento, che siano autorevoli e non autoritari, che sappiano contenere il loro mondo interno pieno di ogni sorta di emozioni e poter vivere la propria età nel gioco e nell’incontro con i compagni. Non sempre queste condizioni oggi sono presenti, come non lo erano nel passato.

Senz’altro, dal puro e semplice punto di vista dei diritti dei bambini, la situazione odierna è migliore, ma la fragilità dei genitori dell’attuale generazione ha portato a forme sempre più accentuate di rinuncia educativa. Sembra che fare scelte o progetti e organizzare la crescita dei figli sulla base di decisioni che comunque prendono i genitori non sia più necessario. L’impressione è che tante di queste non vengano più percepite come titolarità delle mamme e dei papà, per cui, se in pizzeria il bambino di tre anni gioca tutto il tempo con lo smartphone, viene vissuto come una modalità legittima e normale di stare a tavola.

Il mio intento è sostenere i genitori nel loro sforzo di far crescere i figli in una sufficiente organizzazione educativa. Trovo originale, se non imbarazzante, anche per la mia storia di pedagogista – mi permetto di ricordare che ho scritto un libro di un certo successo “Punire non serve a nulla” (Bur-Rizzoli) –, che il mio intervento venga preso per una sorta di elogio dei rigorismi, dei limiti imposti e dei divieti. Un passato che non abbiamo bisogno di far ritornare.

Occorre trovare una nuova misura educativa che restituisca ai genitori l’orgoglio di una vocazione che non è semplicemente riproduttiva o affettiva, ma quella di dare la sfida ai propri figli per affrontare la vita, per tirar fuori tutte le loro risorse. Se viceversa ci si accontenta di essere dei semplici compagni di gioco, inevitabilmente l’inceppamento si nasconde dietro l’angolo.

Pedagogista