Opinioni

La vita vera del territorio. Presenze perdute, bisogni inascoltati

Diego Motta giovedì 9 aprile 2020

Più d’uno pensava che ormai “il territorio” fosse solo un pretesto per avanzate formidabili a base di propaganda, il primo passo di una conquista che aveva ben altri palcoscenici cui mirare. In nome del territorio, un simbolo da catturare e un feticcio da esibire al pubblico, alcuni si erano convinti che fosse possibile fare di tutto. Invece no, si stavano sbagliando – e noi, magari, con loro. Abbiamo scoperto, infatti, in queste settimane di pandemia, che “il territorio” è altro: il silenzio dei malati nelle case abbandonate, l’impotenza dei loro familiari, il coraggio mai inutile eppure spesso vano di tanti medici di famiglia, lo sgomento di infermiere, badanti e assistenti domiciliari rinchiuse spesso in un dolore impotente e attonito. Avevamo capito quasi subito che la partita che si sta combattendo dal 21 febbraio negli ospedali italiani è una partita tra la vita e la morte, la speranza e l’abisso, la risurrezione e la croce. Con il passar dei giorni, è diventato sempre più chiaro che dall’inizio era una sfida casa per casa, strada per strada.

È stato come svegliarsi bruscamente da un incubo: nessuno è sembrato accorgersi, in questi anni, del fatto che tante, troppe, nostre comunità erano rimaste isolate, ben prima che l’isolamento forzato deciso per il diffondersi del Covid-19 diventasse l’unica via per arginare il contagio.

Attraversiamo in questi giorni terre svuotate da figure-chiave per chi deve viverci: pediatri e medici di base hanno frotte di pazienti, magari in paesi diversi, e non riescono a seguirli tutti. Nemmeno a vederli una volta all’anno in tempi normali, figurarsi durante un’emergenza.

Il Centro-Sud è, da questo punto di vista, in una situazione persino più grave rispetto al Nord Italia, eppure questo non è bastato a regioni come la Lombardia per salvarsi. Anzi. Abbiamo dovuto prendere atto, in questi cinquanta giorni, che l’eccellenza sanitaria non è sufficiente, se è limitata a pur eccellenti ospedali e non è distribuita in lungo e in largo. Restano una miriade di zone nel Paese in cui i servizi alle persone si sono rarefatti e la loro qualità si è abbassata, senza che si alzasse la voce per dire che i rischi di un crollo del sistema di welfare pazientemente e saggiamente costruito negli anni della cosiddetta Prima Repubblica fossero imminenti. Di più: ci eravamo dimenticati che ogni Comune, ogni quartiere, persino ogni angolo delle città fa storia a sé e non importa a quale latitudine ci si trovi se mancano posti letto, respiratori, mascherine. L’abc del “prendersi cura” è da insegnare e apprendere daccapo, forse tornando alle origini e certo impostando

una cooperazione virtuosa tra statale e privato sociale dentro un saldo concetto di “pubblico”. Senza persone in grado di riempire di anima e cura un territorio, le nostre comunità hanno sempre più perso punti di riferimento e sperimentano oggi più che mai la fatica a rialzarsi. Il dottore, soprattutto nei piccoli paesi, aveva un valore simbolico paragonabile a quello del parroco e del sindaco, della maestra e del maresciallo dei carabinieri: ascoltava, rassicurava, dispensava consigli e saggezza. Lo fa ancora, ma solo in alcuni casi. È (meglio sarebbe dire, era) una presenza, nelle terre dell’assenza.

Dobbiamo tornare a riempire quei vuoti. È stata la società civile, attraverso le voci del Terzo settore, a ricordarci durante la pandemia che l’assistenza domiciliare non può essere considerata un lusso, che le Rsa e i centri diurni per anziani non vanno trattati come luoghi a perdere, nascosti al mondo e alle Istituzioni, che i disabili, i minori e i più fragili hanno bisogno di risposte. Non adesso, prima.

Su queste colonne lo si è detto per tempo: manca personale sanitario, mancano reparti di terapia intensiva, mancano caregiver e buoni samaritani. Denunce inascoltate, purtroppo.

Presi come eravamo dalla smania di raccontarci un “territorio” a immagine e somiglianza delle esigenze della propaganda e dei modelli socioeconomici considerati vincenti, troppi manovratori delle leve e delle programmazioni avevano perso il contatto con la realtà. Quella vera, quella che si nasconde oltre i citofoni, tra le pareti di casa.