Opinioni

Il Def. La virtù dell'equilibrio di bilancio in attesa di un vero cambio di passo

Eugenio Fatigante mercoledì 2 ottobre 2019

L’unica svolta per ora, nella Nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) varata dal Conte II, è la ritrovata sponda con l’Unione Europea. Era difficile aspettarsi di più. Ed è difficile trovare molto di più in un documento che ha l’obiettivo di tenere in equilibrio un Bilancio che non ne ha, e rimanda almeno di un anno quel «cambio di passo» evocato, come prospettiva, dal neo-ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri. Le attenuanti non mancano: i margini stretti lasciati dal precedente esecutivo, lo scarso tempo avuto, la 'dialettica' pronunciata e l’affiatamento tutto da trovare fra le quattro forze della maggioranza. Ma certo resta la sensazione che per la politica italiana – sul piano dei conti – i tempi migliori siano sempre quelli futuri.

Il 'nuovo' Conte deve limitarsi a gestire l’eredità del Conte 'vecchio'. La sfida è farla evolvere, se il rodaggio avrà buon esito. Per intanto, però, ci si mette su una linea analoga con una 'promessa' che già sa di 'buco' potenziale: un anno fa, col Governo M5s-Lega, fu per il punto di Pil (18 miliardi) indicato alla voce privatizzazioni, che infatti regolarmente non si è concretizzato; stavolta è il caso dei 7,2 miliardi attesi da generiche misure anti-evasione. Con una voce simile e con 14,5 miliardi di quella che eufemisticamente viene chiamata 'flessibilità' concordata con la Ue, ma che al fondo resta maggior deficit (e debito), non è un’impresa eroica aver annullato sulla carta i 23,1 miliardi di possibili aumenti dell’Iva. Il difficile viene adesso. A partire appunto da quei 7,2 miliardi, cifra- monstre da recuperare dai contribuenti infedeli. La lotta a chi non versa le tasse è azione fondamentale (le stime parlano di circa 110 miliardi evasi ogni anno), ma rimane compito arduo e delicatissimo. Per ottenere risultati servono azioni lungamente preparate. Basti ricordare che la manovra 2018 introdusse la fattura elettronica obbligatoria, che solo ora sta dando circa 2,7 miliardi annui di entrate in più. Se quella poderosa novità sta generando maggiori entrate per ben meno della metà, è ammirevole ma sembra poco fondata la fiducia di poter congegnare in breve tempo 'altro' per arrivare a 7,2 miliardi. Vien da pensare che questa cifra sia stata una copertura dell’ultim’ora per sedare le liti nella maggioranza sull’ipotesi di 'rimodulazione' – ovvero di aumenti calibrati – degli scaglioni Iva e dei vari beni in essi presenti, che tuttavia rimane sullo sfondo. Per realizzare quei 7 miliardi abbondanti non bastano le ipotesi – un po’ pasticciate, a dire il vero – circolate sull’altrettanto lodevole contrasto ai contanti attraverso incentivi all’utilizzo della moneta elettronica. Servono idee chiare, una volontà politica molto forte e anche un robusto investimento preventivo (che in questi anni non c’è stato) sulla formazione di personale. Inoltre i mezzi elettronici di pagamento comportano un’educazione dei cittadini che può richiedere tempo: risultati immediati, insomma, non sono scontati.

Rispetto al passato recente non c’è vera discontinuità, visto che misure come 'Quota 100' e il forfait al 15% per i lavoratori autonomi, pur contestate dal Pd all’opposizione, sono confermate. E il tanto atteso taglio delle tasse sul lavoro viene in sostanza rinviato di 12 mesi, dato che la partenza dimezzata nel 2020 si farà poco sentire sulle buste-paga, senza produrre un’inversione di rotta sui consumi (e vien da chiedersi se non sia meglio unificare il tutto in una riduzione molto più forte dal 2021). Quanto alla famiglia, risulta purtroppo ancora non pervenuta, al di là del 'pianoasili' e in attesa del varo della legge delega sull’assegno unico (oggi in Commissione alla Camera). Al tirar delle somme, la vera novità risiede allora nei frutti del clima non litigioso con la Ue. Messi da parte i toni stravaganti e le dichiarazioni incendiarie di appena ieri, la copertura più efficace è quella del ridotto 'conto del Papeete', ovvero la minore spesa per gli interessi sul debito, quantificata in quasi 5 miliardi nel solo 2020 e destinata a crescere. È il bonus scaturito dall’impegno che il nuovo Governo ha assunto fin dal primo giorno, generato dal calo dei tassi d’interesse sui titoli italiani dall’1,8% medio del 9 agosto al meno dell’1% di oggi. Davanti a una Ue più 'accomodante', ci si sarebbe potuti aspettare di più in termini di calo del deficit strutturale (quello calcolato senza le una tantum e le oscillazioni del ciclo economico), ma è difficile trovare questo coraggio alle soglie di una potenziale nuova recessione, come indicato da molti centri studi. Qualcosa di diverso andrebbe fatto sul piano degli investimenti e della competitività – perenni lacune italiane –, a partire da quella ' golden rule' (cioè lo svincolo delle spese in investimenti dalla disciplina del Patto europeo) che tuttavia necessita ancora di tempi lunghi, per di più ora che a Bruxelles si sta insediando la nuova Commissione di Ursula von der Leyen. Non resta, in conclusione, che auspicare che fra 15-20 giorni la legge di Bilancio possa aggiustare alcune cose. E che il Governo mantenga la rotta continuando a guardare non solo al dato del Pil, ma anche alla qualità generale dei servizi che lo Stato eroga e a quegli indicatori di benessere e sostenibilità sociale e ambientale (Bes) che non per uno sfizio sono stati inseriti nella programmazione economica.