Opinioni

25 anni di Messa, il momento per dire grazie. La storia di una guarigione

Maurizio Patriciello mercoledì 30 aprile 2014
C’è un tempo per ogni cosa. All’indomani dei miei 25 anni di Messa, che ho celebrato ieri a Caivano, credo sia giunto il momento di rendere pubblico quanto mi accadde nell’estate del 1985. Mi limito a raccontare i fatti come li ho vissuti. Dopo un lungo periodo passato lontano dalla Chiesa, vi feci ritorno a quasi 28 anni. All’origine vi fu un incontro. Sul mio cammino, a Napoli, nei pressi del bosco di Capodimonte, incontrai un frate francescano, fra Riccardo, al quale diedi un passaggio in macchina. Quell’incontro mi cambiò la vita. Lavoravo in ospedale. Ero entrato come infermiere, ma continuando a studiare, ero diventato capo reparto e mi ero specializzato sulle tossicodipendenze. Niente avrebbe fatto prevedere la svolta che sarebbe arrivata. Con fra Riccardo iniziò un serio cammino di conversione. Un giorno lo accompagnai a Roma dai suoi genitori. Fu lì che volle presentarmi la mamma di un suo amico di scuola, che chiamerò Angela. Non aveva ancora 30 anni quando si ammalò di sclerosi multipla. Ben presto finì sulla sedia a rotelle. Nella sofferenza, però, trovò la fede e la sua vocazione: avrebbe pregato e offerto il suo dolore per i sacerdoti. Nacque con lei un’amicizia vera. Intanto cominciavo a chiedermi seriamente che cosa il Signore volesse da me. Compresi che la mia strada era quella del sacerdozio e la imboccai con gioia. Nell’autunno 1984 entrai nel seminario teologico di Capodimonte, rettore era monsignor Agostino Vallini, attuale cardinale vicario del Papa. Il primo anno di seminario volò, gli studi di teologia mi affascinavano. Non vedevo l’ora di essere prete. A giugno del 1985 chiesi al mio vescovo di riprendere il lavoro in estate per mantenermi negli studi. Ritornai nell’ospedale, ma dopo pochi giorni mi accorsi che qualcosa non andava. Mi stancavo facilmente e non avevo voglia di mangiare. All’inizio pensai fosse la stanchezza. Poi le cose peggiorarono. Parlai con un caro amico medico e subito feci gli esami del sangue. La risposta ci colse di sorpresa. I globuli bianchi erano scesi a 2.800: troppo pochi. Al reparto di ematologia dell’Ospedale Cardarelli mi aspirarono del midollo dallo sterno. Dopo una settimana ritornai al Cardarelli per la risposta e il medico mi disse testualmente: «Maurizio, se tu dovessi stare come dice questo esame sarebbe terribile, perché il midollo è quasi assente. Io credo, invece, che c’è stato un errore nel prelievo. Lo ripeto personalmente». Il ritorno a casa fu un piccolo calvario. Intanto Angela da Roma era tornata al mio paese, e se ne venne da Veronica, un’amica che la ospitava. Non mi andava di farmi vedere in quelle condizioni, e non mi feci vedere. Ritornai al Cardarelli per la risposta del secondo esame. Il medico mi disse che le cose non andavano bene e mi affidò a un suo giovane collega: «Ho troppo rispetto per la sua intelligenza – disse quest’ultimo – per tentare di nasconderle la situazione. Siamo di fronte a una patologia grave, ma non si deve scoraggiare. Si può sempre tentare il trapianto di midollo». Chiesi quale fosse il prossimo passo: «La biopsia ossea», rispose. A quel punto un solo pensiero mi attraversava la mente: essere ordinato sacerdote. Corsi in seminario da monsignor Vallini pregandolo, se mi fossi aggravato, di chiedere la dispensa al Papa e farmi ordinare prete prima del tempo stabilito. Decidemmo di lasciare Napoli e recarci dal professor Mandelli a Roma. Prima, però, avrei fatto la biopsia ossea. Quella mattina fu don Nicola, mio fraterno amico ad accompagnarmi al Cardarelli perché già non riuscivo a guidare. Il prelievo fu doloroso. La risposta come sempre sarebbe arrivata dopo una settimana. I giorni passavano. Una domenica mattina mi recai da  Veronica, dove alloggiava Angela. Ricordo che le stavano dando da bere un bicchiere di latte. Per Angela bere e mangiare era un autentico tormento perché ingoiava con difficoltà. Avevo la faccia triste per la piega che stava prendendo la mia storia. Sapevo bene che Angela, la mia famiglia, la mia comunità, i miei amici, il mio rettore stavano pregando per me. A un certo punto Veronica mi dice: «Maurizio, quando sarai sacerdote...». Non le lasciai terminare la frase: «Sarò sacerdote? Credo che nemmeno rientro in seminario, in queste condizioni...». Fu allora che Angela, fino a quel momento silenziosa, mi guardò con un sorriso e mi disse: «Maurizio tu rientrerai in seminario, diventerai sacerdote e romperai le scatole a parecchia gente. La grazia è giunta... la battaglia è vinta». Eravamo in quattro in quella minuscola cucina. Ci guardammo in faccia senza parlare. Fra Riccardo mi aveva detto che Angela era una donna tutta di Dio, ma credere ai miracoli non è facile. Venne il giorno tanto atteso, ero emozionato. Passavo dall’angoscia alla speranza. Le risposte non erano ancora arrivate al reparto, andai a prenderle personalmente in laboratorio  e le consegnai al medico che una settimana prima mi aveva detto che ero affetto da una grave patologia ematologica. Questi si fece rosso in viso e ridandomi le carte mi disse: «Le faccia vedere a un altro medico». Obbedii. L’altro dottore, che aveva seguito il mio caso sin dall’inizio, lesse e rilesse quelle carte cento volte... altrettante se le girò fra le mani... stralunava gli occhi... sorrideva... Poi mi chiese: «Maurizio, cosa desideri?». «Ritornare a casa...». «Allora te ne puoi andare!». Lo guardai. La testa mi girava. Non capivo niente. Non gli dissi niente. Non gli chiesi niente. Ritornai in seminario. Il 29 aprile 1989 fui ordinato sacerdote, Angela era volata in Cielo 3 anni prima. Questa è la mia vera storia, ho deciso di renderla pubblica per la gloria di Dio, e per tenere in vita la speranza.