Opinioni

Il direttore risponde. La splendente «imperfezione» di un figlio nato grande, come tutti

Marco Tarquinio martedì 28 gennaio 2014
Caro direttore,
le parlo di mio figlio Emanuele, che ha 11 anni ed è speciale: è dislessico. I figli non sono nostri, ma di Dio. E, se io ne avessi avuto subito la consapevolezza, tanti errori non li avrei commessi. Ogni figlio nasconde impressa l’immagine di Dio e quindi ogni dettaglio – anche l’imperfezione – se lo guardiamo con gli occhi di Dio è espressione di una meravigliosa sinergia cosmica. Tutto accade per un fine: amare Lui e di conseguenza gli altri ed essere felici. Emanuele è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Dio mi sta insegnando a rileggere la vita di mio figlio, a usare un alfabeto diverso, a ripercorrere il mio passato riconoscendo tutto l’amore, la pazienza e la dolcezza che Lui ha usato con me. In questo modo, il mio sguardo cambia verso tutto, anche verso mio figlio. A Emanuele fin da piccolo piacevano i quadri e non si annoiava a osservarli nei musei: c’era sempre qualcosa che lo colpiva, le sue osservazioni non erano mai banali, anche se non riusciva a tradurle in parola scritta. Ha una sensibilità spiccata per gli altri: sempre attento alla salute dei nonni, mai indifferente alla sofferenza altrui, lascia stupita l’anziana Emma perché quando la vede arrivare in bicicletta lascia i giochi e va ad aprirle il cancello... Ha pianto quando il maestro di matematica se ne andato, quando è partito un compagno straniero conosciuto da poco. Ha pianto quando Guido e Maria sono partiti come missionari e ha fatto per loro un meraviglioso disegno: un aereo che volava con loro dentro e le ali erano lo Spirito Santo; ha insistito perché invitassimo lo zio separato per non farlo sentire troppo solo, non sopporta vedere piangere la sorellina anche quando è per un capriccio e cerca di capire se ha qualche bisogno che magari noi non vediamo. E poi la sua voce è uscita in un canto meraviglioso e un maestro di musica l’ha fatto entrare in un coro dove la sua voce calda, modulata assieme a quelle dei compagni ha fatto vibrare i cuori di giurie e scaldato gli animi di tanti. Guardo i suoi begli occhi azzurri e penso che sono fortunata, anzi graziata, perché averlo come figlio così diverso mi ha obbligato a guardare le cose da una prospettiva diversa, a non dare per scontato che tutto deve sempre andare da sinistra a destra o da sopra a sotto, che tanti "no" possono diventare "sì", e sono anche meglio. La fretta di tutti i giorni è rallentata dai suoi ritmi e ho scoperto che è bello e gratificante essere pazienti, che la velocità spesso impedisce di cogliere i dettagli, che l’impazienza è un limite sciocco e invalidante. Ogni giorno mi sorprende, mostrandomi aspetti del mondo ai quali non avevo pensato. È l’immagine di un universo che, creato da Dio, si lascia scoprire poco a poco; anche il modo di essere di Emanuele è espressione della Sua fantastica fantasia. È il quarto di sei figli e unico maschio, una quotidianità un po’ dura e speciale lo stava aspettando. Non mi chiedo, caro direttore, che cosa farà da grande perché lui è grande; so che Dio ha un disegno su di lui e che sarà speciale. Chiedo a Maria di illuminare questo progetto divino perché lui possa riconoscerlo e seguirlo. Grazie Emanuele e grazie Signore per avermi scelta immeritevole madre.
Silvia Vassalli - S. Felice del Benaco (Bs)
Non mi resta molto da dire, cara signora Silvia. Ma una consapevolezza di padre e di cittadino da aggiungere alla sua, integralmente materna e profondamente cristiana. Viviamo un tempo che, come altri nella storia del mondo, conosce la pretesa di stabilire chi è meritevole di essere accolto, di avere una possibilità (di cominciare e, tutte le volte che serve, di ricominciare), di partecipare alla vita della città dell’uomo e della donna, persino di vivere. Anzi di sopravvivere a quelle che vengono catalogate come imperdonabili "imperfezioni" (ferite ricevute in eredità genetica o subite lungo il cammino). Si tratta di una folle vertigine, di una delle facce di quell’accurato e feroce non-amore che ci circonda e che si ammanta di parole forti e di anche eleganti inni alle libertà e ai diritti (sempre declinati al plurale...) o di metallici appelli alla sicurezza (sempre declinata al singolare) scanditi per illudere, tagliar fuori, emarginare, escludere le cosiddette «vite indegne», gli scomodi, quelli che sono «d’ingombro» e «di peso». Un pensiero opprimente e opaco, un modo solo apparentemente scintillante di fare economia, scienza sociale e medica, una spregiudicata maniera di agire in politica, di confezionare leggi, di snervare antichi e saldi princìpi di solidarietà che congiura a rendere più brutte, ingiuste e misere le nostre società. Tutte, anche nel nord opulento del nostro pianeta, anche nella nostra Italia. La sua esperienza e le sue parole, cara e gentile amica, sono un vaccino. Semplice, efficace e vero come tutte le buone medicine.