Opinioni

Governo. La semi-quiete dei mercati non esclude la tempesta

Emilio Barucci mercoledì 9 maggio 2018

Nei prossimi giorni si potrebbe avverare un fatto unico nella storia repubblicana: la legislatura non parte, il presidente Mattarella propone un «governo neutrale» che non ottiene la fiducia in Parlamento. Posti di fronte a questo scenario, i partiti si sono messi all’opera in tutta fretta. Vedremo come andrà a finire la storia.

Quello che è certo è che tutto sembra accadere nell’indifferenza dei mercati finanziari e della Commissione europea. In effetti, lo spread dei titoli di Stato italiani è ai minimi da un anno a questa parte e ha reagito senza sussulti alle ultime fibrillazioni politiche. Anche la Borsa è ai massimi e, a sentire gli operatori finanziari, la scelta migliore sarebbe quella di prorogare il governo Gentiloni rimandando le elezioni sine die in quanto non si ricorda un periodo di quiete come questo.

La posizione della Commissione è più articolata. Da un lato, ha concesso tempo all’Italia per predisporre il Def, il documento economico finanziario, e ha lasciato trapelare che a fine maggio la situazione del debito pubblico italiano sarà valutata positivamente, tanto che la correzione richiesta dello 0,3% del Pil sarà valutata soltanto nel 2019.

Dall’altro, ha messo in evidenza che l’Italia sia di fatto ferma sul fronte delle riforme e delle misure strutturali per abbattere il debito e ha reso esplicito che la pazienza starebbe per finire. Siamo, dunque, ben lontani dalla crisi del 2011-12 con la “lettera” della Banca centrale europea, le speculazioni sui titoli di Stato e l’intervento del presidente Napolitano con il governo Monti. Si tratta di una contraddizione solo apparente che cela in realtà nodi significativi.

Cerchiamo di capire meglio la situazione. Ci sono almeno tre punti di forza che spiegano quello che sta accadendo. Seppur in rallentamento, come del resto in tutta Europa, l’economia italiana cresce a ritmi che non si conoscevano da tempo, la disoccupazione è ai minimi dal 2011. L’Italia continua ad avere un debito pubblico elevato, ma il dato sul surplus primario continua a essere buono. E poi c’è l’effetto Bce, con la sua politica di bassi tassi di interesse e di acquisto di titoli pubblici, che offre un ombrello ampio contro un’eventuale speculazione.

Questi fattori hanno narcotizzato l’atmosfera, ma le cose possono cambiare sul fare di un mattino. In primo luogo, è bene ricordare che i mercati finanziari non hanno sempre ragione. In questo momento, i mercati vogliono credere che l’Italia non sia un problema. Il motivo è molto semplice: gli operatori internazionali hanno comprato i nostri titoli e le nostre aziende, una crisi sarebbe un brutto risveglio che porterebbe pesanti perdite. Per questo motivo non vogliono credere a questa eventualità, nel caso lo facessero il cambiamento d’umore sarebbe repentino.

Cosa potrebbe risvegliare nervosamente e persino rabbiosamente i mercati? Una situazione di stallo prolungato, nuove elezioni senza un chiaro vincitore, un governo che non intende rispettare i vincoli europei. I mercati non sono il problema al momento, potrebbero anche accontentarsi di un governo di programma che trovi i soldi per disinnescare le clausole di salvaguardia (18 miliardi nel 2018) e faccia una nuova legge elettorale. Il problema è la Commissione europea.

Quest’ultima non chiede soltanto misure immediate, chiede che il Paese abbia una guida autorevole in quanto vuole che la sua clemenza odierna sia ben ripagata in futuro. La scadenza obbligata, qui, è la Legge di Stabilità che deve essere fatta in autunno. Teniamo conto, insomma, che se le Commissione si agitasse, anche i mercati si risveglierebbero. Gli scenari praticabili e davvero utili, a questo punto, sarebbero solo due: governo politico, governo del Presidente (o neutro) che, nel pieno delle sue funzioni, arrivi a definire la Legge di stabilità. Tra le altre cose, occorre ricordare che abbiamo bisogno di un Governo anche per decidere cosa fare di Alitalia e dell’Ilva di Taranto.

È chiaro che l’ipotesi di tornare subito al voto con questa legge elettorale non è sensata: con ogni probabilità le elezioni riprodurrebbero l’attuale situazione di stallo e l’Europa e i mercati non acconsentirebbero alla paralisi. Non si tratta di essere europeisti o meno, si tratta di essere realisti e sarebbe bene che i principali partiti guardassero a fondo la lista delle urgenze che si para davanti a loro, invece di puntare a cavalcare l’onda di un “successo” che potrebbe anche arrivare, ma ancora e sempre insufficiente e soprattutto effimero.