Opinioni

Insufficiente una «verniciata» di modernizzazione. La scuola che non piace e le ricette che non la salvano

Luigi Ballerini martedì 12 aprile 2011
Ai ragazzi italiani la scuola non piace. O almeno così pare, stando all’indagine Hbsc-Italia 2010, uno studio multicentrico internazionale condotto ogni quattro anni in collaborazione con l’Ufficio regionale dell’Organizzazione mondiale della sanità per l’Europa. Vi partecipano 43 Paesi su 53 stati membri e l’Italia ha iniziato la collaborazione nel 2000.Il campione esaminato di 77.000 ragazzi italiani di prima e terza media e di seconda superiore è considerato rappresentativo di tutte le regioni e di realtà sia statali sia paritarie. A loro è stato somministrato un questionario anonimo con la specifica richiesta di esprimersi sul gradimento della scuola, da "mi piace molto" a "non mi piace per niente". A livello nazionale risaltano tre macrodati:  il gradimento diminuisce al crescere dell’età, ai maschi la scuola piace meno che alle femmine e non vi sono significative differenze regionali. In prima media al 25% dei ragazzi e al 34,5% delle ragazze la scuola "piace molto", contro il 6,7% dei maschi e il 10,8% delle femmine in seconda superiore. Con questi dati ci collochiamo pesantemente sotto la media internazionale, al quartultimo posto per il livello di gradimento dei quindicenni su 41 Paesi.Oltre al quadro descritto dall’indagine, ciò che preoccupa davvero è la strada che potrebbe prendere la scuola nel tentativo di risolvere la situazione. Due infatti sono le principali tentazioni che la metterebbero su una falsa strada: buttarsi sul cosiddetto eduteinment e diventare una scuola 2.0.Eduteinment è una parola magica, assai di moda, che coniuga education con entertainment: no ai vecchi argomenti noiosi e paludati col loro studio tradizionale, sì a materie nuove, diverse, con un frizzante stile di insegnamento che renda tutto divertente. Si corre così il rischio di prolungare l’esperienza della scuola materna, in un irrispettoso processo di infantilizzazione dei ragazzi.La scuola 2.0 è poi quella che vive dell’illusione che sarà (solo) la tecnologia e i suoi richiami a destare dal sonno mattutino i ragazzi sui banchi. Le aule si devono allora riempire di lavagne multimediali, per i professori è un must avere un profilo facebook e via i vecchi libri per lasciar posto al web o al massimo a un iPad di ultima generazione su cui caricare tutto.Una posizione ingenua, questa: più che la lavagna conta infatti quello che ci scriviamo sopra, il giovanilismo dei professori non dovrebbe certo essere preso come sinonimo di vicinanza ai ragazzi e i libri non possono diventare solo nemici polverosi che piegano la schiena dentro gli zaini.Un ragazzo potrà davvero dire alla scuola "mi piace" – senza necessariamente sbilanciarsi con "molto" – quando riuscirà a trovare una corrispondenza tra sé e ciò che viene offerto, ossia quando scoprirà un reale guadagno nell’andarci. Gli piacerà quando si accorgerà che si tratta di un luogo che può suscitargli un’idea nuova che non c’era prima, che soddisfa una curiosità che forse nessuno riconosceva, che il suo interesse è un successo piuttosto che un presupposto.I giovani aderiscono volentieri a quelle situazioni in cui vengono riconosciuti come pensanti, capaci di orientare il proprio moto in associazione con un altro per una soddisfazione reciproca. Se glielo permettiamo sanno sorprenderci con la loro apertura.Perché la scuola torni davvero a piacere o inizi finalmente a farlo, occorre pertanto che resista alla tentazione di una fideistica modernizzazione o di un accattivante snaturamento; potrà così proporsi come un luogo capace di incontrare e sollecitare i desideri dei più giovani favorendo esperienze reali con le discipline in modo da aprire prospettive forse solo intuite, certo desiderabili e desiderate.