Opinioni

La lezione del referendum in Scozia. Piccole patrie ricetta perdente

Vittorio E. Parsi giovedì 18 settembre 2014
Un fantasma si aggira per l’Europa. Non è quello della rivoluzione comunista, ma quello di Robert Wallace, l’eroe del nazionalismo scozzese. A distanza di circa 700 anni dalla sconfitta del "Cuore intrepido", gli scozzesi potrebbero infatti conquistare incruentemente l’indipendenza da Londra e trasformare il Regno Unito in una sorta di ossimoro geografico-politico. Di per sé l’indipendenza della Scozia dall’Inghilterra non dovrebbe poi dispiacere troppo a molti dei suoi storici avversari. Verrebbe da pensare che a Dublino come a Parigi, a Madrid come a Berlino, avrebbe potuto prevalere un tiepido rammarico pubblico, accompagnato da una discreta intima soddisfazione, nel vedere l’antico e sempre invitto nemico finalmente sconfitto dall’interno. E invece no. In ogni capitale europea si respira autentica trepidazione di fronte al possibile esito positivo del referendum indipendentista. Si temono effetti catastrofici sulla tenuta di uno dei Paesi più solidi del continente, depositario della sola piazza finanziaria globale d’Europa, titolare uno degli eserciti più gloriosi ed efficienti del mondo, in grado di attrarre idee e persone da ogni angolo del pianeta. Che ne sarà della sterlina e del mercato borsistico londinese? E i reggimenti di highlanders, che hanno costruito quell’impero di cui ancora oltre Manica si mena vanto, finiranno come i gurka, mercenari stranieri arruolati nelle fila dell’esercito di Sua Maestà?A simili legittime preoccupazioni se ne aggiunge, in queste settimane, una ancora più insidiosa, espressa nel timore che l’indipendenza scozzese possa costituire l’apripista di altre pulsioni irredentiste, persino più fondate (Catalogna, Paesi Baschi, Fiandre) o magari ben più balzane (Padania)? E difatti a Vitoria e Barcellona e, in misura minore, Anversa e Mantova (già sede del sedicente "Parlamento padano") già in molti guardano con interesse "domestico" a quanto potrebbe avvenire oggi in Scozia. È soprattutto in Spagna che le cose potrebbero complicarsi e divenire esplosive. Il referendum annunciato dalla Generalitat catalana è stato nuovamente bollato come illegale dalla Corte Suprema di Madrid. Parole alle quale gli indipendentisti hanno risposto con una gigantesca manifestazione popolare. Se i "sì" dovessero prevalere in Scozia, la conseguenza immediata potrebbe essere quella di uno show-down nel braccio di ferro tra Madrid e Barcellona, dagli esiti tutt’altro che scontati, probabilmente in grado di gettare benzina anche sul fuoco delle mai sopite aspirazioni indipendentiste basche. Il successo genera imitazione, in questo non c’è proprio nulla di nuovo sotto il sole. Ma dovremmo chiederci quale sia il meccanismo che spinge tanti cittadini europei a provare desiderio o nostalgia per le "piccole patrie", quando neppure le grandi compagini statali riescono a sentirsi più fino in fondo "sovrane". La risposta sta proprio nelle difficoltà legate alle sfide poste dal processo di integrazione europea e dalla prolungata crisi economica, che alimentano il miraggio che altre sponde più solide e felici siano possibili... Niente di più illusorio, perché "la taglia conta"; ed essere piccoli, anche nell’Europa unificata di oggi, non rappresenta un’opportunità, ma un problema.