Opinioni

La schermitrice coreana e il valore delle cose. La sconfitta di una vita e la vita di una sconfitta

Ferdinando Camon mercoledì 1 agosto 2012
Si può capire il pianto dirotto della giovane spadista coreana, 16 anni, giudicata sconfitta nella semifinale, mentre lei (e la quasi totalità degli osservatori) è convinta che il colpo dell’avversaria fosse giunto fuori tempo massimo: resterà un’emblema di questa Olimpiade. Anzi: di ogni Olimpiade. Anzi: di ogni sport. L’emblema dell’atleta che dedica quattro anni alla preparazione di un incontro che può dare un senso all’intera sua vita sportiva, che, quando giunge il momento, combatte con tutta l’energia di muscoli cuore cervello, che non perde ma vien dato per sconfitto, e così la sua vita esce dal cono di luce della gloria e piomba nel buio dell’anonimato. È il destino dello scrittore che lavora anni e anni all’opera che sente come un capolavoro, finalmente la pubblica, aspetta la reazione del destinatario su misura, e quello gli fa sapere: «Hai fallito». Non c’è disperazione più grande. Viene in mente il povero Ludovico Ariosto. Finito l’Orlando furioso, che secoli dopo il più grande critico del Novecento, Benedetto Croce, definirà «il poema dell’Armonia», consegna la prima copia al cardinale suo protettore a Ferrara, cerca ogni giorno di incrociarlo per i corridoi per avere i suoi complimenti, e alla fine riceve uno sberleffo: «Messer Ludovico, dove avete trovato tante corbellerie?». Il poeta corre alla copia personale che tiene ancora sul suo tavolo, e sotto l’ultimo verso aggiunge: «Pro bono malum», ho dato un capolavoro, ricevo uno sfottò. Può fare altrettanto la giovane spadista coreana? Ma certo. In realtà, lo ha già fatto. Rifiutandosi di scendere dalla pedana, restando lì accovacciata con la testa fra le mani a piangere e sospirare per mezz’ora, bloccando il proseguimento degli incontri, ha dato all’episodio una dimensione abnorme: d’ora in poi quell’incontro non sarà ricordato per la vittoria dell’avversaria, una tedesca eliminata all’incontro successivo, ma per quel lungo pianto, che ha fermato le gare e che farà ancora discutere: la coreana aveva perduto o aveva vinto? Il colpo dell’avversaria era giunto nel tempo lecito, o un secondo dopo, come i più dichiarano? Oggi la cronaca consegna ai posteri non soltanto il commento al fatto, ma il fatto intero, in un video. Per l’eternità i giudici che han giudicato sconfitta la spadaccina coreana saranno giudicati dagli spettatori, e se la maggioranza degli spettatori li condannerà, a perdere questa Olimpiade saranno proprio loro. La spadista ha sentito la verità del terribile monito di Shakespeare nel Giulio Cesare: «C’è una marea nelle cose umane che, colta al flusso, porta al successo; la perdi, e tutta la vita precipita in un abisso di miseria». È il tema del capolavoro: consumi la vita per costruirlo, se lo riconoscono ti salvi, se lo ignorano sei perduto. La reazione della spadista-bambina è umanissima. Si trattava della sua vita sportiva. O tutta o niente. Ma ieri veniva un’altra notizia relativa a una sconfitta non riconosciuta e non sopportata, e stavolta la reazione non si riesce a capirla. Si tratta dello Strega, ormai assegnato da tempo. Un libro ha vinto, tutti gli altri hanno perso. Ma l’editore del libro di Emanuele Trevi, Ponte Alle Grazie, non ha sopportato la sconfitta, e ha protestato insultando l’autore vincente con i termini «principiante» e «scribacchino». Ieri veniva annunciata una querela. Mi associo a coloro che ritengono migliore il libro di Trevi; ma non mi associo agl’insulti: sono un errore. Qui non siamo nello sport, dove il verdetto è un attimo; siamo nell’arte, dove il verdetto sono i secoli. Il libro bello dura nel tempo. Il libro di successo passa presto. Chi scrive un libro-opera e perde un premio, avrà un premio più grande: la durata. Chi scrive un libro-prodotto e vince un premio, avrà presto una punizione: l’oblio. Chi ha la durata e invidia il successo, si è mai chiesto quanto, chi ha il successo, invidia la durata?