Opinioni

La ricerca del vero. Processo in Vaticano e gravi distorsioni

Carlo Cardia giovedì 3 dicembre 2015
Le vicende legate alla sottrazione di documenti in Vaticano, e al conseguente processo in corso, possono essere descritte in tanti modi. Con l’aggiunta, inevitabile e in qualche misura comprensibile, di una morbosità che sempre accompagna le questioni ecclesiastiche e che porta a evocare, per una invincibile attrazione, le ombre del passato e i peccati del presente, l’inquisizione e le tentazioni sessuali, l’amore per il denaro e per il potere. Papa Francesco per primo ha espresso le proprie opinioni, anche lapidarie e da chiunque riconosciute coraggiose. Sottrarre documenti riservati è un reato, e va punito. Ha aggiunto che occorre combattere contro la corruzione anche se si trova in Vaticano, e l’opera di pulizia e purificazione – iniziata già con Benedetto XVI – proseguirà, e lui stesso non si fermerà di fronte a ostacoli. Infine, con verve ironica (per qualcuno) inaspettata ha osservato: «Ci manca solo Lucrezia Borgia...».Sulla stampa italiana, e straniera, con riguardo al processo apertosi da pochi giorni si trovano giudizi d’ogni genere e, come spesso accade, ciascuno può cogliere un pizzico di verità. C’è chi sostiene che il processo è stato preparato, e si sta realizzando, troppo in fretta, chi al contrario ritiene che esso è stato voluto fortemente voluto dal Papa per accelerare l’opera di pulizia e purificazione. Altri ancora, ritengono che la stampa italiana sia troppo favorevole al Vaticano e non critichi a sufficienza le debolezze dell’azione giudiziaria avviata, mentre non mancano le critiche specifiche sulla questione dei tempi, della scelta degli avvocati d’ufficio, della fuga di notizie, e via di seguito. Si può discutere di tutto, ciò appartiene pienamente all’esercizio della libertà di stampa, e giova alla stessa Città del Vaticano nell’esercizio della sua giurisdizione. Ciò non vuol dire che tutto ciò che si dice sia vero, specialmente se ci si fa prendere la mano da intenti demolitori di tipo dogmatico, com’è accaduto ieri a "Repubblica" quando si sono voluti mischiare i fantasmi dell’Inquisizione con il processo alla libertà di stampa.Ha scritto dunque un articolista di "Repubblica" che «la Chiesa di Francesco, che sta illuminando les Caves du Vatican, rischia al tempo stesso di legittimare il buio del diritto medioevale, un ingranaggio inquisitorio che, a parte i ceppi e le tenaglie, è ancora quello della Tosca». E aggiunge, nel chiudere l’analisi, che nessuno capisce come sia possibile che proprio questo Papa permetta un simile processo a due giornalisti, dal momento che il Vaticano «è l’ultima monarchia assoluta del mondo».Infine, si fa notare «in un vortice di vendette, ricatti e tradimenti qualcuno della segreteria vaticana ha per esempio messo nel ventilatore le conversazioni private tra il monsignore e la titolatissima perpetua: debolezze della carne che forse sono diventate oggetto di ricatto che non hanno nulla a che vedere con questo processo». Quindi, la libertà di stampa è finita nel gorgo delle peggiori iniquità inquisitoriali. Si sente, molto evidente, l’ispirazione di Dan Brown che mischia i secoli e le tempeste della storia per stupire il lettore, sottolinea cose umane come fossero mirabolanti, facendo filtrare una tesi principale del tutto priva di fondamento. In Vaticano non è sotto accusa «la libertà di stampa», per il semplice motivo che agli interessati si imputa l’acquisizione di documenti riservati, ottenuta con metodi illegittimi penalmente rilevanti. Sarà vero, o non vero, nessuno può saperlo con sicurezza, e il processo serve proprio a questo, ad accertare il fondamento della tesi dell’accusa, ma la libertà di stampa non è, e non potrebbe essere, in discussione, neanche volendolo. Sembra poi che in Vaticano si usi il diritto medievale, mentre si utilizza con qualche calibrato aggiornamento (l’ultimo, recentissimo, del luglio 2013) il Codice Zanardelli, cioè il Codice dell’Italia liberale che precedeva il fascismo, con tutte le garanzie che vi sono previste. Infine, la fuga di notizie: è assai singolare che proprio chi sulla fuga di notizie, intercettazioni, voci, e quant’altro per decenni ha voluto costruire processi extra-giudiziari, ricostruire la storia d’Italia con esiti alterni (per la verità), lamenti oggi che in Vaticano sono accadute due cose umanissime e non rare, appunto una fuga di notizie, e un presunto rapporto sessuale tra due persone che si frequentavano. Si possono lamentare e criticare questi due fatti, ma non sono certo la prova che il Vaticano sia l’«ultima monarchia assoluta del mondo». A parte la singolare dimenticanza su altre, terribili monarchie assolute, ancora regnanti, tutti sanno che il Vaticano non è uno Stato-Nazione cui si possano applicare le categorie politiche valide per gli altri Paesi. Tanto è vero che i cittadini vaticani (pochi di numero e temporanei: non esiste una nazionalità vaticana) non soltanto non sono cittadini oppressi dal potere (come accade nelle monarchie assolute), ma fruiscono dei diritti umani fondamentali, e forse di qualche beneficio in più. Essi svolgono una funzione immediatamente diretta a realizzare la finalità unica ed esclusiva del Vaticano, che è quella di garantire la piena e visibile indipendenza della Chiesa di fronte alla Comunità internazionale e a tutti i popoli del mondo. Ma allora, se eliminiamo la monarchia assoluta, l’attentato alla libertà di stampa, il revival del diritto medioevale e dell’Inquisizione, cosa resta dell’analisi esasperata appena esposta? Resta un problema vero, che si ricava ancora una volta dalle parole di papa Francesco, quello di ricondurre tutti gli uomini di Chiesa a una pratica di povertà coerente con lo spirito evangelico, e fare in modo che la lealtà alla propria funzione, e agli obblighi connessi, torni a essere un parametro autentico di condotta e di vita. Discutiamo di questo, e di tante altre cose connesse, anche con critiche severe, ma lasciamo perdere i colori accecanti e gli effetti speciali per stupire chi legge: la realtà è già speciale e stupefacente di suo.