Opinioni

Riflessioni sull’atto di violenza di un poliziotto . La responsabilità della forza

Paolo Borgna mercoledì 16 aprile 2014
«Abbiamo avuto un cretino, da indentificare e sanzionare». Così ha dichiarato il capo della polizia, Alessandro Pansa, di fronte alle immagini del poliziotto che, nel corso di una manifestazione romana, calpesta il corpo di una ragazza a terra. Non possiamo non essere d’accordo. Immagini come quelle di Roma, oltre a mortificarci come cittadini, offendono e danneggiano le forze dell’ordine. Quelle forze dell’ordine verso cui va la nostra gratitudine. Perché fronteggiano normalmente con grande professionalità, proprio nel corso di manifestazioni di piazza, situazioni difficilissime: resistendo con nervi saldi a provocazioni gravi e organizzate, fatte non solo di insulti urlati per ore, ma anche di violenze, lanci di oggetti e bottiglie incendiarie. Ecco perché chi nutre gratitudine verso gli agenti e i carabinieri che quotidianamente affrontano simili situazioni, e per questo li difende con convinzione, si sente maggiormente offeso nel vedere scene di violenza gratuita contro persone che magari si trovano a terra o bloccate da altri agenti.  Come è giusto ribadire che, di fronte ad attacchi violenti e di gruppo, la polizia può esercitare – sempre con giudizio, intelligenza e proporzionalità – l’uso legittimo della forza disciplinato dal nostro codice, allo stesso modo va ribadito con nettezza che nessuna violenza può essere tollerata verso una persona che (anche se in precedenza ha tenuto condotte violente) è in quel momento inerme e già resa inoffensiva. In quel caso, usare violenza significa ridurre l’uomo a cosa, bestemmiare contro la sacralità della persona umana, di ogni persona umana.  Questo lo Stato non può permetterlo. Ed è una buona notizia sapere che il poliziotto di Roma, autore del fatto di tre giorni fa, si è spontaneamente presentato ai suoi superiori. Conosciamo però le obiettive difficoltà – riscontrate in tante vicende degli scorsi anni, a cominciare dai fatti di Genova 2001 – di raggiungere la sicura identificazione di singoli agenti, legittimamente coperti dai caschi d’ordinanza, in caso di violenze ai manifestanti. La proposta, più volte avanzata, di munire ogni casco con un ben leggibile numero identificativo dell’agente che lo indossa è stata talvolta formulata in termini polemici e punitivi verso gli agenti; e come tale è stata avvertita e respinta da molti sindacati di polizia, che segnalano la possibilità di azioni ritorsive verso i poliziotti. Eppure una proposta di buon senso ci sarebbe: ogni agente porti, sul casco, un numero identificativo; la corrispondenza tra questo numero e la persona a cui è attribuito sia segreta e conosciuta esclusivamente dai dirigenti della polizia stessa che, eventualmente, dovranno comunicarlo al magistrato soltanto a seguito di ordine scritto e motivato. Se la polizia avesse il coraggio e l’intelligenza di far propria una proposta come questa, la stima di tutti nei suoi confronti non potrebbe che aumentare. E gli italiani la sentirebbero ancora più amica e più vicina.