Opinioni

Rapporto Onu. La realtà delle migrazioni è un mondo capovolto

Maurizio Ambrosini giovedì 21 gennaio 2021

Le migrazioni internazionali sono un tema così carico di risonanze e così politicizzato che spesso le posizioni ideologiche oscurano l’analisi dei fatti e distorcono i numeri effettivi del fenomeno. Serve quindi una tensione costante a riportare l’attenzione su dati il più possibile oggettivi, per comprendere anzitutto e poi per governare questa sfida globale del nostro tempo. Giunge a proposito, in questi giorni, il rapporto dell’Onu sulle migrazioni internazionali nel 2020 appena terminato.

Lo studio testimonia ancora una volta una crescita della componente dell’umanità che per varie ragioni risiede al di là dei confini del Paese di cui è cittadina: siamo arrivati a quota 281 milioni, oltre 100 milioni in più di vent’anni fa, quando la cifra si attestava sui 173 milioni. I migranti internazionali rappresentano tuttavia una quota esigua degli abitanti del pianeta: il 3,6%. Gli esseri umani rimangono una specie fondamentalmente sedentaria, o comunque non avvezza ad avventurarsi troppo lontano dai luoghi di origine. Per di più, la pandemia da Covid-19 nel 2020 ha drasticamente frenato tutte le forme di mobilità umana, dal turismo ai viaggi d’affari, coinvolgendo anche le migrazioni. La stima è di circa 2 milioni di migranti in meno di quelli previsti prima della crisi sanitaria. Ma non è questo il maggiore impatto della pandemia.

La conseguenza più grave delle restrizioni e del blocco di molte attività economiche consiste in una severa riduzione delle rimesse, ossia dei risparmi che gli emigranti mandano alle proprie famiglie in patria: sono essi stessi ad aiutare casa loro, molto più dei soccorsi internazionali. I flussi di rimesse si sono mostrati storicamente resilienti nei confronti delle avversità, continuando ad arrivare in patria anche in tempi di crisi, ma questa volta secondo l’Onu la pandemia li ha colpiti duramente: la stima è di un calo da 548 miliardi di dollari nel 2019 a 470 nel 2021, il 14% in meno. Il raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile lanciati dalle Nazioni Unite rischia di essere drammaticamente rallentato, a meno che gli Stati sviluppati non decidano di compensare almeno in parte il diminuito apporto delle rimesse degli emigranti aumentando gli investimenti nella cooperazione internazionale.

Un secondo problema riguarda, più che i numeri, la composizione dei flussi migratori e la loro destinazione. I rifugiati, ossia i migranti forzati, rappresentano oggi il 12% dei migranti internazionali, contro il 9,5% del 2000: crescono più rapidamente di chi sceglie volontariamente di partire. Soprattutto, nei Paesi ad alto reddito i rifugiati comprendono il 3% circa degli immigrati, ma salgono al 25% nei Paesi a medio reddito e arrivano al 50% nei Paesi più poveri.

È un mondo capovolto, in cui sono le regioni con meno risorse a farsi carico di chi ha più bisogno di protezione, mentre chi avrebbe più mezzi accoglie in realtà numeri assai più ridotti di persone in cerca di asilo. Al quadro si aggiungono un paio di elementi informativi che aiutano a dissipare alcuni dei più radicati luoghi comuni sulle migrazioni. Il primo riguarda i luoghi di origine. Pochi immigrati arrivano dall’Africa e in generale dai Paesi più poveri. Il maggiore Paese di partenza è in realtà l’India, con 18 milioni di emigrati. Seguono Messico e Russia con 11, poi la Cina con 10. I principali protagonisti delle migrazioni sono Paesi di livello intermedio, e anche in rapido sviluppo.

Un altro bagno di realtà riguarda il genere. Solitamente si pensa che gli immigrati siano giovani uomini, ma le donne rappresentano in realtà quasi la metà dei migranti internazionali, e la maggioranza in Europa. Le Nazioni Unite ne tessono l’elogio, definendole «catalizzatrici del cambiamento », in quanto promotrici di progressi sociali, culturali e politici nelle loro famiglie e comunità. La conoscenza non può sostituire la politica, e da tempo abbiamo smesso di credere che cambierà il mondo. Possiamo però almeno sperare che aiuti a discutere con più razionalità un fenomeno complesso come le migrazioni internazionali, e a formulare proposte aderenti alle migrazioni reali, anziché a quelle immaginate e fatte 'percepire' dalla propaganda.