Opinioni

La cifra politica della presidenza Trump. La post-verità fino in fondo

Antonio Nicita sabato 7 novembre 2020

La presidenza Trump rischia di finire com’era iniziata. Nel dicembre del 2016, dopo una clamorosa e inattesa vittoria, Ruth Marcus sul "Washington Post" scrisse: «Welcome to the post-truth Presidency» (Benvenuti nella Presidenza della post-verità). Ma già qualche mese prima "The Economist" legava Donald Trump al concetto di post-verità, descrivendo il prossimo capo della superpotenza Usa «come uno dei prominenti professionisti della politica della post-verità» cui non interessa «se le sue parole abbiano una qualche relazione con la realtà, almeno fintanto che siano idonee a infiammare i suoi propri elettori». Quattro anni dopo, le emittenti Abc, Cbs e Nbc interrompono in diretta una pesantissima dichiarazione del presidente uscente, il quale, dalla Casa Bianca, accusa gli avversari di brogli e frodi, «senza portare prove» come precisa, in diretta, il sottopancia di Cnn.

Il tema del rapporto con i fatti, e del ruolo della disinformazione, anche attraverso precise strategie sui social media, è uno di quelli che ha caratterizzato questa presidenza e la relazione tra politica e informazione ai tempi del neo-populismo. La locuzione «fatti alternativi» è nata da Kellyanne Conway consigliere del presidente Trump, durante una conferenza stampa del 22 gennaio 2017, in relazione al numero di presenze effettive all’inaugurazione di Trump come presidente degli Stati Uniti. I «fatti alternativi» hanno caratterizzato quest’ultimo anno di Presidenza in cui si sono intrecciate narrazioni negazioniste sulla pandemia con ricostruzioni strumentali sia degli episodi di razzismo che delle proteste per la morte di George Floyd.

I social media, in testa Twitter e, in misura minore, Facebook – in passato accusati anche dal Rapporto Mueller e dalle indagini su Cambridge Analytica, di aver indirettamente favorito strategie di disinformazione volte a influenzare le elezioni del 2016 – hanno iniziato a "moderare" i tweet del presidente Trump per incitazioni alla violenza o affermazioni non veritiere o ingannevoli, peraltro riguardanti proprio il tema della legittimità del voto postale o absentee.

Il tema della disinformazione è stato quindi un filo rosso di questa presidenza e di questi anni, non solo negli Stati Uniti certo, ma che in quel grande Paese sembra aver registrato il campo privilegiato per la costruzione sia di nuove agende politiche sia di nuove strategie di propaganda.

Quello che resta non è solo l’irrompere dei «fatti alternativi», ma l’indebolimento della stampa libera, autonoma, professionale, spesso accusata di essere, essa stessa, di parte. Una stampa attaccata su due fronti: dal lato del tempo di attenzione, dedicato ai social media come nuovi informatori, e dal lato delle risorse finanziarie e pubblicitarie, sempre più concentrate nelle mani delle grandi piattaforme.

Ma resta soprattutto, ed è il conto più amaro che ci troviamo di fronte, l’avvento di una polarizzazione cieca e autoreferenziale. Di un tifo fatto di 'bolle' e impermeabile a ogni dialogo. L’esplosione delle fonti informative, attraverso i social e il web in genere, corrisponde a una minore e non a una maggiore esposizione a idee che non si condividono. Quella che doveva essere una finestra sul mondo è diventata uno specchio che ci restituisce i nostri pregiudizi, le nostre convinzioni, i nostri fatti alternativi. Come ha misurato Agcom nel suo Osservatorio, la polarizzazione è ormai una costante del modo in cui selezioniamo le fonti informative. C’è allora da chiedersi come tirarsi fuori da questa pesante eredità. Come riportare al centro della politica e del confronto democratico, quell’amore dei fatti che per John Stuart Mill era alla base della libertà d’espressione e di un autentico pluralismo.

È possibile che quanto accade oggi negli Stati Uniti costituisca un importante passaggio in questo senso. Intanto, tra un mese, l’Europa annuncerà una proposta di regolazione delle piattaforme on-line, il cosiddetto Digital Service Act, che affronterà sia i temi dei mercati della pubblicità on-line, e quindi delle risorse destinabili anche all’informazione, sia i temi della disinformazione on-line. Nella consapevolezza, ci si augura, che, altrimenti, l’avvento di «fatti alternativi » possa pre-costituire la condizione di un’alternativa alla democrazia.

Ordinario di Politica economica, Università Lumsa