Opinioni

L'analisi. La paura globale è da record ma c'è già tutto per ripartire

Carla Collicelli giovedì 16 giugno 2022

La partecipazione civile e politica cresce: tra il ’19 e il ’21 si è passati dal 57,9% al 64,9%. L’interesse per i temi civici e politici aumenta tra le donne

La pubblicazione da parte del Fondo Monetario Internazionale dell’indice mondiale di incertezza, ripreso anche dal Governatore della Banca d’Italia nelle sue Considerazioni finali del 29 maggio scorso, ci ha messo di fronte a dati preoccupanti, in quanto l’incertezza raggiunge oggi, a seguito della guerra in Ucraina, il livello toccato nel 2001, all’indomani degli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre, e nel 2016, a seguito della cosiddetta Brexit del Regno Unito. E questo dopo il recupero che si era registrato negli ultimi mesi rispetto al picco altissimo raggiunto con la pandemia da Covid-19.

Dall’osservazione di questi dati si conferma il dato di fatto per cui i primi 2 decenni del secolo sono stati e sono caratterizzati da una escalation dell’incertezza in tutto il globo, i cui effetti collaterali sono difficili da misurare in tutta la loro ampiezza. E nonostante che, con il passaggio di secolo e di millennio ci fossimo convinti, erroneamente, che il mondo globalizzato, e in particolare la società occidentale avanzata – e quella europea in primis – fossero ormai avviati senza intoppi né rischi di cambiamento di rotta, a crescere sempre più in ricchezza, salute, sicurezza e benessere individuale e collettivo. In realtà non sono mancati nel corso di questo periodo segnali del calo generalizzato di tensione collettiva e di spinta al perseguimento del benessere comune, accompagnati dalle tante attese mancate, e dalla continua eterogenesi dei fini rispetto alle aspettative e ai proponimenti, in una società che vive sempre più il passato come fonte di depressione e il futuro come ansia.

Il lavoro senza dignità e senza soddisfazione, le disuguaglianze che crescono, le forme di particolarismo e nazionalismo, l’aumento del disagio psichico, la degenerazione di una comunicazione ridondante e segmentata per 'micro-tribù comunicative', l’assenteismo elettorale e la democrazia indebolita sono stati e sono ancora oggi fenomeni ampiamente sottovalutati. E ci è voluto l’irrompere del tragico nella storia, con le catastrofi umanitarie, sociali ed economiche provocate dalla pandemia e dalla guerra, per cominciare a scuoterci dal torpore.

Per citare i dati più eclatanti a livello mondiale: oltre 6 milioni di morti da pandemia, 8 milioni di sfollati dall’Ucraina, che vanno ad aggiungersi ai quasi 100 milioni totali, l’aumento della povertà e la recente crisi degli approvvigionamenti alimentari. E tra gli effetti collaterali delle tragedie mondiali degli ultimi 2 anni in Italia dal punto di vista sociale, ricordiamo il peggioramento del benessere soggettivo dei giovani tra 14 e 19 anni, registrato dall’Istat nel 2021 (dal 56,9% al 52,3%), e quello del loro benessere mentale e della soddisfazione per le relazioni amicali; il continuo calo della natalità, la riduzione della propensione alla procreazione nelle donne giovani con più di 30 anni (secondo l’Istituto Toniolo) e la quota di giovani che si augura un futuro senza figli giunta al 51% (secondo la Fondazione Donat Cattin); ma anche l’inasprimento del dibattito rispetto alla fiducia nella scienza, alla accoglienza dei profughi, e il dilagare di quella che qualcuno ha definito la “geopolitica della paura”, vale a dire il fenomeno di crollo della fiducia nelle istituzioni e nel futuro del mondo, a vantaggio di atteggiamenti di paura, ricerca del capro espiatorio e rifugio nel magico.

Gli effetti dell’instabilità sulla coscienza collettiva e le vie per superare la crisi

Ma più che di effetti collaterali dovremmo iniziare a parlare di base sociale dello sviluppo da ricostruire, in quanto in un mondo globale tutto è interconnesso, e il collante che tiene insieme i diversi elementi, e che di conseguenza è il solo a poter indicare la strada per un cambiamento di rotta, è dato proprio dalla situazione sociale. Quel sociale che nel bene e nel male è stato il motore principale della ricostruzione e dello sviluppo, e che nell’ultimo periodo ha subito i contraccolpi delle turbolenze economiche e politiche uscendone a pezzi. Per cui oggi è necessario ripartire da quei pezzi scomposti per ricercarvi i fermenti di vitalità e per transitare dallo stallo allo sviluppo sostenibile, e dalla paura alla forza del coraggio, cogliendo micro e macro-fenomeni di trasformazione positiva. Da cui la necessità di una transizione sociale vera e propria, sia dal punto vista antropologico che da quello morale e istituzionale. Una transizione che coinvolga le coscienze, le identità, le relazioni umane, ma che si rivolga anche e soprattutto ai luoghi e alle istituzioni che quel sociale devono difendere e regolare a livello mondiale.

Non sono mancate e non mancano indicazioni rispetto al sentiero da imboccare per stimolare il genere umano verso una “intelligenza collettiva positiva” (per usare l’espressione di Teilhard de Chardin). Ma la “geopolitica della paura”, assieme alla concentrazione quasi esclusiva sulla dimensione economica della vita, sulle dinamiche di potere, sui vissuti di tipo narcisistico ed autocompiaciuto, con la conseguenza di una contrazione del benessere, della libertà, della solidarietà e del senso della comunità, impediscono un ripensamento della questione sociale e la considerazione dei fermenti di vitalità necessari per una adeguata transizione.

Dalla ricerca di dignità nel lavoro all’economia civile fino alla tensione per l’ambiente: i fermenti esistono, e sono ben visibili in micro e macrofenomeni da indirizzare nella giusta direzione

Eppure i fermenti esistono, e sono ben visibili proprio nei micro e macrofenomeni che occorre indirizzare nella giusta direzione: la ricerca di una nuova dignità e soddisfazione nel lavoro; il desiderio di riattivazione delle relazioni umane e comunitarie significative, anche e soprattutto di tipo intergenerazionale; le forme spontanee ed associative di concertazione dal basso, di partecipazione civica, di attivismo sociale, di sus- sidiarietà; gli spazi di consapevolezza dei limiti dello sviluppo umano rispetto alla natura e al pianeta; le forme di economia civile; i fermenti di responsabilità sociale rispetto alla tutela dei più fragili; i segmenti di ripresa della fiducia in una scienza volta al bene dell’umanità e dell’ecosistema; gli sforzi volti all’umanizzazione della tecnologia.

E confortano i recenti dati rilevati dall’Istat, secondo i quali la partecipazione civile e politica cresce: tra il 2019 e il 2021 si passa dal 57,9% al 64,9%. La popolazione che si informa di politica almeno 1 volta a settimana e quella che esprime opinioni su temi sociali o politici attraverso siti web o social media (es. Twitter, Facebook, Instagram, YouTube), raddoppia tra il 2019 e il 2021 e arriva al 20,9%. L’interesse per i temi civici e politici cresce di più tra le donne (+4 punti percentuali rispetto ai 2,7 degli uomini) e nelle fasce di età più giovani (circa 7 punti percentuali nella fascia 20-24 anni e 8,3 punti nella fascia 25-34 anni).

Perché i segnali indicati possano trovare spazio, occorre però lavorare per un rafforzamento di quelli che il Censis ha chiamato «i luoghi che ospitano il pensare » e le strutture deputate a questo scopo, elementi centrali per ricreare una coscienza collettiva comune che sostenga lo sviluppo sostenibile, la promozione della giustizia sociale e gli equilibri ecosistemici. In altre parole, l’umanità solidale, in un mondo globalizzato, deve trovare una sponda adeguata nella cooperazione mondiale, nella concertazione tra parti e soggetti del mondo, nella lotta alle forme di prevaricazione e prepotenza, nel controllo dell’infodemia, e nella dimensione relazionale e comunitaria, che non può che passare oggi per l’azione degli organismi sovranazionali a livello mondiale e a livello europeo. Abbiamo sprecato decenni di pace in un andamento di continuismo povero, con il rischio dei riavvolgimenti della storia su sé stessa. Ora è il momento di ripartire.