Opinioni

Aveva 29 anni. Simona è morta, sarà sepolta il Venerdì Santo per risorgere con Cristo

Maurizio Patriciello giovedì 18 aprile 2019

Simona è morta. È volata in cielo alle prime luci dell’alba di oggi, Giovedi Santo. Il cancro, arrivato in sordina solo un anno fa, non le ha lasciato scampo, l’ha stretta come in una morsa. Lentamente. Inesorabilmente.

Non aveva ancora 29 anni questa ragazza bella, sensibile, educata. Prossima a conseguire la laurea in giurisprudenza, guardava al futuro con ottimismo. Dal padre, valente pianista, aveva ereditato l’amore per la musica, l’arte e per tutto ciò che di bello il mondo ci dona. Dopo la prima operazione e la conseguente chemioterapia sembrava che avesse vinto la battaglia. Anche i medici erano ottimisti. Il mostro, invece, prima di essere estirpato, aveva già provveduto ad aggredire il cervello. Simona capisce. Non si perde d’animo, la battaglia continua. Bisogna lottare ancora. Lo fa con determinazione, non si dà per vinta.

Pian piano la sua vita cambia e lei smette di vivere come le sue amiche. Tante piccole cose che tutti facciamo con estrema naturalità, senza nemmeno rendercene conto, iniziano a costarle sempre più fatica. Adesso cammina con difficoltà, ma è sempre bella. Attorno al suo letto di dolore parenti, amici, personale medico e paramedico le tengono compagnia. Ultimo ricovero. Istituto Giovanni Pascale di Napoli, famoso per la diagnosi e la cura dei tumori. Sesto piano di una palazzina che guarda verso il mare. Un panorama mozzafiato. Il Vesuvio, Capri, la penisola sorrentina. Verrebbe voglia di fermarsi per riprendere fiato.

Simona ha chiesto alla sorella di avvisarmi che vuole essere cresimata. Mercoledì santo. Ottengo la delega dal mio vescovo e corro. Simona è a letto. Lucidissima ma senza forza. Da ieri i suoi occhi hanno già smesso di vedere. Preghiamo. La ungo con l’olio crismale: «Simona, ricevi lo Spirito Santo che ti è stato dato in dono. Amen. La pace sia con te». Ci sforziamo di sorridere mentre le facciamo gli auguri.

Le ricordo che adesso dovrà essere una testimone credibile del vangelo di Cristo. Stiamo pensando tutti la stessa cosa, ma nessuno ha il coraggio di dirlo: Simona difficilmente celebrerà la Pasqua quaggiù con noi.

Notte tra mercoledì e giovedì. Sono tanto stanco, ma il sonno non viene. Gli occhi aperti come due voragini, nel buio, guardano verso il crocifisso che troneggia in camera da letto. Prego. Per lei. Soprattutto per lei. Simona intanto sta vivendo le ultime ore di questa vita meravigliosa che ha ricevuto in dono.

All’alba vola verso il cielo. Libera. Finalmente libera dal dolore e dal suo stesso corpo. Quel corpo che siamo e in cui abitiamo e che quando decide di non obbedirci più ci diventa estraneo, se non nemico.

Nel giorno del Venerdì Santo, verso l’ora nona, l’ora in cui nostro Signore, affida al Padre il suo Spirito, si terranno i funerali. La “terra dei fuochi” continua a mietere le sue vittime. Giovani, ragazzi, bambini, genitori con figli troppo piccoli per essere lasciati soli. «Quando considero i cieli opera delle tue mani, che cos’è l’uomo che te ne prendi cura?», prega il salmista e noi con lui.

Il dolore innocente ci mette con le spalle al muro. L’impotenza della scienza e della tecnica davanti a una ragazza che si spegne tra sofferenze atroci, mentre chiede un aiuto che nessuno le potrà mai dare, ci fa prendere atto dei nostri limiti.

Nel pomeriggio dovrò tenere l’omelia al funerale. Confesso che se non avessi il dono della fede e la speranza della vita eterna, mi sottrarrei a questo compito. Declinerei volentieri l’invito a parlare. Davanti a una bara bianca, che ce ne facciamo degli elogi funebri? Dei discorsi commemorativi?

Poche domande vanno poste con estrema serietà: Simona c’è ancora o è tutto finito? Continua a vivere? Se si, dove? E il Vangelo? Che cosa ci dice il Vangelo? Al dolore per la perdita di Simona si unisce la consolazione di deporla nella tomba nelle stesse ore in cui Gesù veniva deposto dalla croce. Che consolazione per sua mamma sapere che le sue stesse lacrime furono versate da Maria di Nazareth, la mamma di Gesù. Che consolazione credere che non è finito niente, niente andrà perduto, ma forse il meglio sta cominciando proprio adesso.

« Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede» ci ricorda san Paolo». Non vogliamo fare l’errore delle donne la domenica di Pasqua, che continuano a cercare il Vivente tra i morti. Non vogliamo meritarci il rimprovero dell’angelo. Lo sappiamo, lo crediamo, lo proclamiamo: se moriamo con Cristo, con Cristo anche risorgeremo.