Opinioni

Il direttore risponde. Proprio strana (e interessata) la guerra dei compiti a casa

Marco Tarquinio martedì 18 ottobre 2016

​Caro direttore,ho letto con interesse l’articolo del professor Roberto Carnero pubblicato giovedì 13 ottobre sul nostro quotidiano sotto al titolo «Scuola, la strana guerra dei compiti a casa». La condivisione del ragionamento offerto a tutti noi mi ha portato a riflettere ulteriormente, da docente qual sono anche io, e a pormi conseguenti domande. Se è vero che i nostri ragazzi apprendono in molteplici modi e da variegate fonti e agenzie educative, dall’esperienza quotidiana propria e altrui, non è forse sotto gli occhi di tutti che i tempi medi di concentrazione degli alunni sono sempre più ridotti? Se è vero che la lezione è il momento fondamentale della didattica e che si dovrebbe imparare innanzitutto nell’aula scolastica, non è forse altrettanto vero che non sempre i nostri alunni hanno sufficiente rigore e metodo di applicazione per imparare come dovrebbero? La percezione che ho è che i ragazzi non sempre imparino adeguatamente perché diversamente “impegnati” durante le lezioni! Se prendessero sempre gli appunti che gli insegnanti chiedono di scrivere nel proprio quaderno, se durante le interrogazioni si trascrivessero le domande che l’insegnante rivolge ai compagni, se uscissero dalla lezione stanchi come i docenti... forse si accorgerebbero che il compito a casa si svolge più velocemente ed è strettamente agganciato a quanto appreso in aula e quindi più facilmente eseguibile. Se è compito dei docenti motivare i propri alunni agganciando la loro attenzione, è compito anche delle famiglie trasmettere princìpi valoriali e stimolare il dovere dell’apprendimento in modo che i ragazzi stessi se ne assumano in modo crescente la responsabilità e ne rendano conto agli adulti. Siamo proprio sicuri nell’odierna organizzazione della società (genitori che lavorano entrambi, molteplici impegni extrafamiliari...) che senza compiti pomeridiani o estivi i ragazzi saprebbero come riempire le loro giornate in maniera proficua e che le famiglie sarebbero in grado e saprebbero sempre offrire loro proposte educative di qualità formativa? Non c’è il rischio che i ragazzi sarebbero sempre più portati verso lo svago disimpegnato e sarebbero più annoiati e quindi più facile preda di chi trarrebbe vantaggio dal maggior tempo di cui i ragazzi disporrebbero? Si vuole forse farli dipendere dalla tv, massificandoli più di quanto non lo siano già, tramite programmi che annullano in pochi secondi lo sforzo educativo compiuto da docenti e genitori attenti? Si vuole forse che utilizzino ancora di più il cellulare e frequentino i social ancora più di quanto non facciano già ora? Non vorrei che precisi interessi anche economici volti a mettere ancor più sul mercato i nostri figli/alunni si nascondessero dietro la «strana guerra dei compiti a casa»! Cordialissimi saluti e buon lavoro.

Fabrizio Lombardi - Montemarcello (Sp)

Quante domande, caro professor Lombardi. E niente affatto peregrine. Ma anche quante sottolineature frutto di una concreta esperienza di padre e di docente. Penso anch’io che la rottura del ritmo di vita familiare (a causa, soprattutto, della spesso assai difficile conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di vita di padri e madri) si riverberi su tanti aspetti della crescita dei nostri figli, impegno scolastico compreso, e che rappresenti un punto nodale delle questioni che si vanno aggrovigliando nei rapporti tra genitori e figli e tra famiglia e scuola. Grazie per la sua riflessione condivisa.