Opinioni

editoriale. La giustizia è in panne? Un incontro può aiutarla

Benito Perrone - direttore di «Iustitia» rivista dell’Unione italiana giuristi cattolici venerdì 21 marzo 2014
Dopo che sullo stato della giustizia in Italia si sono espressi anche i Tar e il Consiglio di Stato, con i discorsi per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, il quadro è completo. E – per fare sintesi – risulta evidente che l’intero sistema della giustizia italiana (dalla giustizia civile a quella penale e amministrativa) continua a versare in una situazione drammaticamente critica. E incancrenita. Ulteriore motivo di preoccupazione è rilevare che gli interventi legislativi che i governi succedutisi hanno prodotto in questi ultimi sette anni sono in gran parte finiti fuori bersaglio. Nell’ambito della giustizia civile, poi, si è notato addirittura un peggioramento dovuto a un vero e proprio "fuoco amico", se si tiene conto che a fronte di 17 modifiche al Codice di procedura civile la durata media dei procedimenti di cognizione ordinaria in primo e secondo grado è aumentata di circa 2 anni. La fonte di quest’ultima notizia non ammette dubbi: lo scrive nella lettera inviata ad Andrea Orlando, attuale ministro della Giustizia, il presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa. Il quale ha anche riferito che oltre all’aumento della durata delle cause sono lievitati in misura del tutto sproporzionata i costi di accesso alla giurisdizione, i cosiddetti contributi unificati, cresciuti del 55,62% per il primo grado, del 119,15% in appello e del 182,67% in Cassazione.
A proposito di giustizia civile, nel 2013 anche il numero delle cause pendenti, che in precedenza aveva mostrato un leggero calo, nel 2013 si è nuovamente impennato. Siamo ormai alla soglia di circa 6 milioni di cause. Stessa situazione per la giustizia penale: lo ha rilevato su Avvenire del 27 febbraio Paolo Borgna, che ha messo in luce l’enorme arretrato che grava sui procedimenti penali, le cui sorti vengono sempre più frequentemente affidate alla prescrizione, vero e proprio "agente patogeno" come ebbe a definirlo il presidente della Corte d’Appello di Milano. Basti dire che nel decennio 2001-2010 la prescrizione ha estinto 1.694.827 procedimenti, di cui ben 141.851 nel solo 2010. Da ultimo, abbiamo appreso che le cose non vanno meglio nei Tar: anche qui i procedimenti si accumulano a dismisura. Sono stati 3.200 i ricorsi presentati nel 2013 al Tar della Lombardia e il trend è costante dal 2006; la pendenza globale a fine 2013 è di 8.387 ricorsi, che spetta a 27 magistrati – 20 al Tribunale di Milano e 7 alla Sezione distaccata di Brescia – di esaminare e risolvere: un sistema molto fragile, considerato anche l’esiguo numero degli addetti ai lavori, che come ha sottolineato il presidente del Tar lombardo provoca purtroppo un rilevante allungamento dei tempi della decisione.
Ancora una volta ci chiediamo quali sono le cause di questa perenne stagnazione nonostante tutti i governi nel periodo esaminato abbiano inserito tra le priorità del programma il superamento delle criticità del sistema giudiziario. Non mancano esempi virtuosi sul territorio, cioè singoli organi giudiziari che in breve tempo sono riusciti a ridurre drasticamente se non addirittura a eliminare gli arretrati e si sono rimessi in marcia, risolvendo le controversie in tempi ragionevoli. E ci si chiede come mai questo esempio non trascini per risolvere le lentezze nel resto del territorio italiano, dove regna tuttora un’enorme disparità di costi sia di tempo sia di denaro. Ancora non si capisce perché le proposte avanzate, dal Consiglio nazionale forense come da diverse forze associative dell’avvocatura, non siano state mai attuate, nonostante molte di esse siano a costo zero per lo Stato. Un esempio illuminante – ed è solo uno dei tanti che si possono portare – è la proposta che, avanzata da Avvenire nel 2012 a pochi mesi dal varo del governo Monti, è stata ora riproposta dal citato articolo di Borgna. Si tratta, nel penale, di «archiviare notizie di reato nei casi di "particolare tenuità del fatto", desumibile dalla "esiguità delle conseguenze dannose o pericolose" della condotta».
Le garanzie ci sono tutte e non vi è alcun rischio di arbitrarietà: infatti, l’archiviazione avverrebbe «su proposta del pubblico ministero, ad opera del giudice, che in concreto, caso per caso valuterebbe la sostanziale irrilevanza del danno». Non c’è dubbio che con questo sistema l’enorme arretrato sarebbe notevolmente ridotto liberando energie e risorse di denaro da destinare ad altro. Ricordiamo poi la proposta di Iustitia, la rivista dei giuristi cattolici italiani, formulata nel 2010 (v. Iustitia 2010, p.379). Com’è noto, le cause non definite entro ragionevoli termini di tempo sono la macchia che fa precipitare la giustizia italiana agli ultimi posti della graduatoria internazionale. La scandalosa durata dei processi rappresenta, oltre che negata giustizia per i cittadini, anche un palese danno per l’economia italiana in conseguenza del discredito mondiale generato dalle disfunzioni.
Questo vuol dire che l’eliminazione degli enormi arretrati, vera e propria palla al piede della giustizia civile, ha la priorità assoluta sugli altri problemi. Raccogliendo un recente monito di Papa Francesco, sarebbe bello tener presente che «dietro ogni pratica, ogni causa, c’è una persona» (discorso alla Rota Romana, 25 gennaio 2014). Nel caso dei giudizi civili, almeno due sono le persone che si trovano in conflitto: è facile ritenere che dopo tanti anni di attesa e di ansia del risultato, se venisse loro riservato un po’ di tempo per essere ascoltate sarebbero senz’altro disponibili, e comunque più propense ad accettare una soluzione conciliativa. Occorre dunque ricercare e trovare nel processo pendente un tempo da dedicare all’ascolto delle parti, così da favorire in concreto la prospettiva della conciliazione. In altri termini, occorre la convocazione obbligatoria delle stesse, che dall’ascolto da parte di un giudice trarrebbero sicuro motivo per ridare fiducia all’istituzione-giustizia.
Come detto, non mancano esempi virtuosi che valgono da punto di riferimento. Fa testo il caso del Tribunale del lavoro di Milano, che non solo ha sanato la piaga degli arretrati ma ha addirittura dimezzato i tempi di decisione delle cause. Qualcuno forse potrebbe diagnosticare imperfette le modalità attraverso le quali si giunge alla composizione della controversia e quindi all’eliminazione del processo. La circostanza inconfutabile e positiva è però che qui viene sperimentato nei fatti come l’incontro diretto delle parti sia sempre un’esperienza che vale la pena promuovere: oltre alla soluzione definitiva della controversia in tanti casi, diminuirebbero sia la proposizione di cause temerarie sia le resistenze pretestuose che costituiscono il male endemico della maggior parte delle cause pendenti, spesso prive di qualsiasi ragionevolezza. A questo punto, è auspicabile che per il nuovo governo la giustizia diventi concretamente una priorità.