Opinioni

Lo studio. La generazione Alpha cresce e può insegnarci qualcosa

Chiara Giaccardi e Sara Sampietro martedì 15 giugno 2021

I ragazzini sono ottimisti, inclusivi, curiosi e «green». Nella pandemia hanno saputo sfruttare le tecnologie mantenendo vivi i legami familiari

La seconda ondata di COVID 19 sembra finalmente in recesso, ma gli effetti psicosociali della pandemia restano ancora tutti da valutare. Se la generazione degli anziani è stata quella colpita in modo più drammatico, e la più vulnerabile agli effetti potenzialmente letali del virus e se gli adulti hanno cercato di re-inventarsi, soprattutto in ambito lavorativo, sui giovani e soprattutto sui bambini l’impatto è ancora tutto da verificare.

Le piattaforme digitali hanno svolto un ruolo di primo piano durante tutta la fase pandemica: per la scuola, il lavoro, l’informazione e il tempo libero. Si è trattato solo di una overdose, di una intossicazione da cui depurarci? O sono emerse pratiche che possono gettare nuova luce sul nostro rapporto con un mondo sempre più digitalizzato? E il legame tra le generazioni, che in tanti casi si è rinsaldato per far fronte all’emergenza, può ricevere nuovo impulso dall’esperienza maturata in questo anno e mezzo, anche grazie alla nuova consapevolezza sulle potenzialità tutt’altro che “virtuali” del digitale? Se, come sosteneva Bernard Stiegler, è l’educazione che fa le generazioni (che non sono pura successione cronologica tra ascendenti e discendenti, ma trasmissione di sapere, esperienze e conoscenza) possiamo forse intravvedere una nuova alleanza possibile, sulla base di una reciprocità dove anche i piccoli hanno qualcosa da insegnare agli adulti.

Ottimisti, inclusivi, curiosi e green: sono queste le caratteristiche dei giovani appartenenti alla generazione Alpha (nati dal 2010 in poi) emerse da “Gen Alpha Docet”, l’approfondimento dedicato alle ripercussioni della pandemia tra i più piccoli che si inserisce all’interno di Opinion Leader 4 Future, programma di ricerca triennale dell’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo (Almed) dell’Università Cattolica, in collaborazione con le Media Relation di Credem Banca. La rilevazione è stata effettuata da Tips Ricerche su un campione di 600 bambini tra i 5 e gli 11 anni su tutto il territorio nazionale, attraverso gruppi di discussione e interviste.

Si dimostra che è possibile “adottare” le potenzialità dello sviluppo digitale dentro contesti relazionali affettivamente caldi e densi. Piegandolo a fini relazionali piuttosto che farsene strumentalizzare

Come si informano gli Alpha? Dalla ricerca è emerso che dal punto di vista mediale i bambini manifestano grande duttilità e capacità di servirsi di diverse piattaforme e diversi linguaggi (tra i device più utilizzati emergono smart tv, citata dal 51%, smartphone 35% e tablet 29%). A livello di temi gli Alpha sono attratti dalla natura, dalla scienza e dal futuro (impegno e responsabilità verso l’ambiente sono rilevanti per il 71% della fascia più grande del target). Cercano attivamente informazioni sui loro interessi e sui loro personaggi pre- feriti, ricorrendo ai motori di ricerca e soprattutto a YouTube (irrinunciabile per il 45% degli 8-10) e interagendo su piattaforme social quali TikTok (cresciuto dal 2019 dal 13% al 35%) e Twitch (+7%).

L’effetto della pandemia sulle abitudini informative degli Alpha

La pandemia ha stravolto le routine degli Alfa. Hanno conosciuto il dubbio e l’incertezza. Hanno visto i loro genitori sotto pressione. Hanno avuto paura per la salute dei loro nonni (a tal punto che in molti hanno ribattezzato il Covid “l’influenza dei nonni”). I loro rapporti sociali sono diminuiti: hanno incontrato poco gli amici, sono andati a scuola a intermittenza e hanno dovuto abbandonare le attività sportive ed extra-domestiche. Molti però sono stati anche gli aspetti di positività, tra cui la possibilità di passare maggiore tempo con i propri familiari, spesso riscoprendoli: «Mio papà fa ridere, è simpatico anche quando è in riunione di lavoro, io lo sentivo sempre», afferma Roberta di 9 anni. Si sono gradualmente abituati a una quotidianità più tranquilla, scandita da ritmi lenti e libera da programmazione. Hanno appreso nuove abilità legate alla vita domestica (per esempio la cucina e il giardinaggio). Se durante il primo lockdown sembrano aver prevalso resilienza e ottimismo, soprattutto nel periodo estivo, la seconda ondata ha procurato un senso di déjà-vu e di stanchezza, ma ha anche aperto le condizioni di una nuova speranza. È vero che alla stanchezza per il protrarsi dell’emergenza si è aggiunta una sorta di saturazione dell’informazione, percepita a tratti come ansiogena e contraddittoria. Nel complesso, però, l’informazione li ha aiutati a capire la situazione, ad attrezzarsi, ma anche a sentirsi parte di una comunità pronta ad affrontare il problema.

Per capire cosa stava accadendo, hanno scelto come primo «filtro» la famiglia, sviluppando al contempo un precoce senso critico e un atteggiamento «attivo » rispetto alla tv e ai social media. Hanno avuto così la possibilità di avvicinarsi a tematiche per loro nuove, come la politica, di cui hanno iniziato a interiorizzare i volti e le logiche. Racconta Margherita di 8 anni: «C’era Conte a capo, poi hanno litigato e ri-votato… io ho visto in tv quando ri-votavano». Hanno mostrato inoltre un forte desiderio di partecipazione, sfociato in un interesse sempre più costante per le tematiche ambientali, ma anche nell’attivazione a favore della riapertura delle scuole. Sono scesi in campo. Come Anita, la dodicenne di Torino, capofila del movimento “ School for future”.

Alpha docet

Molti sono gli insegnamenti che le generazioni più adulte possono apprendere dai più piccoli in materia di media: non cedere alla noia, alla ripetizione e all’abitudine; rimanere curiosi e aperti, scoprendo continuamente nuove possibilità; coltivare un atteggiamento disinvolto, ma anche proattivo nei confronti delle novità tecnologiche (per il 36% essere tecnologicamente attrezzati e competenti è una priorità) e preferire contenuti capaci di raccontare in maniera originale e fedele la complessità della quotidianità, al di là di luoghi comuni e stereotipi.

Le informazioni le trovano sui motori di ricerca, su YouTube e interagendo con piattaforme social quali TikTok e Twitch

Ma anche confrontarsi in famiglia su quello che i media propongono e godere della piacevolezza dei consumi mediali condivisi, costruendo insieme quella che Roger Silverstone chiamava una “economia morale” capace di filtrare in modo critico e costruttivo le tante voci che affollano lo scenario mediale in modo troppo spesso cacofonico. Lo spiega bene Vittorio di 10 anni: «Era da un po’ che non vedevamo la tv insieme, perché la sera i miei genitori hanno tante cose da fare, quando stavamo a casa invece l’abbiamo fatto tante volte… era bello stare tutti vicini sul divano e dirsi delle cose!»

Ci si domanda, giustamente, se la società digitale non allenterà sempre più i legami fra le generazioni. Un esito tutt’altro che remoto, se ci si limita ad “adattarsi” a un contesto sempre più plasmato da logiche tecnocratiche e di mercato. Ma questo non impedisce di agire diversamente, e di “adottare” le potenzialità offerte dallo sviluppo tecnologico, con tutte le ambivalenze che lo caratterizzano, dentro contesti relazionali affettivamente caldi e intertemporalmente densi. Piegandolo, quindi, a fini relazionali piuttosto che lasciar colonizzare le relazioni da logiche che le strumentalizzano e le frammentano. Nell’era digitale, una nuova alleanza tra le generazioni, sempre più necessaria, può passare anche da qui.

Università Cattolica Milano