Opinioni

Lo scempio di Roma e le parole ambigue. La furia nichilista che inquina la protesta

Marco Bertola martedì 18 ottobre 2011
Indignati. Come suonava bene. Un po’ più che esasperati, più elegante di nauseati, meno minaccioso di arrabbiati. E con quel pizzico di disgusto che si può provare davanti allo scempio di qualcosa in cui si crede o si spera. Delusione, dispiacere, preoccupazione, ma guardando avanti. Protestare e camminare, rivendicare un futuro e provare a costruirlo. Così doveva e poteva essere. Così non è stato e quella parola provoca ora una sensazione di devastante malessere. Lo scempio c’è stato, ne abbiamo pieni gli occhi e la mente da troppe ore. Voluto, preparato, organizzato, nuovi dettagli emergono con ritmo incalzante. Prima, durante e dopo non sono mancati gli ambigui lanciatori di parole d’ordine devastanti quanto i sassi e le spranghe. E poi i generosi giustificatori, via radio o sui giornali, quelli per cui gli incidenti «è bene, istruttivo che ci siano stati», e gli irriducibili che ancor oggi argomentano come «attaccare le banche o gli uffici dei ministeri è un segnale politico», anche se forse non era il caso di spaccare una statua della Madonna... Già. In fondo un danno da poco. Hanno bruciato case, auto e una camionetta dei carabinieri, devastato banche e negozi, divelto pali e pavimentazioni: che sarà mai una statuetta mariana di gesso, e con tutti i crocifissi che si contano a Roma, se anche uno è stato sbrecciato… Simboli, ma più alla radice il cuore di una comunità. E sono immagini da guerra civile nei Paesi delle persecuzioni ai cristiani quelle che dalla Città Eterna hanno fatto il giro del mondo. Difficile segnare il confine tra vandalismo e stupidità, inevitabile ora indignarsi davvero. Ma proprio qui, forse, si è giocato un capitolo decisivo della partita. Qui una legittima protesta, con largo seguito popolare, è andata in cortocircuito con l’oltraggio a quelli che sono i più radicati tra i valori che fondano la convivenza del nostro popolo. ll malessere c’era, c’è, e l’Italia non fa eccezione. La crisi economica con le sue pesanti conseguenze sta mietendo le sue vittime, e offuscando le prospettive di futuro per tanti giovani. I figli di questo popolo, i nostri figli, ossessionati dalla mancanza di un lavoro, i più fortunati angosciati dalla precarietà, impauriti dalla voragine del debito e dalla scalata impossibile ai tetti pensionistici. Accanto a loro, chi il lavoro lo aveva e lo ha perso, e non ha più l’età per riproporsi o reinventarsi. E anziani impauriti, sulla soglia della povertà. Di fronte, la finanza internazionale, intenta a giocare le proprie partite sulla pelle di tutti e una classe politica più attenta alle beghe di cortile (quando va bene) che a cercare risposte credibili e capaci di gettare le fondamenta per una ricostruzione economica, morale e civile. Solo "bombe incendiarie" tra gli schieramenti e all’interno degli stessi, mentre la casa comune vacilla: ecco l’esempio. Ragioni per protestare, per chiedere una svolta ce ne sono a iosa. Ma anche per cercare le basi per un nuovo patto tra generazioni, tra cittadini e istituzioni, tra pubblico e privato. Chi ha "dirottato" la protesta romana è già in pista per replicare. Non ci si può sottrarre alle domande sugli strumenti, sul modo di rappresentare disagio e indignazione. Perché la furia distruttrice nichilista, per quanto minoritaria, non fa parte del nostro Dna, e solleticarla, salvo poi nascondersi dietro una politicamente corretta esecrazione, non può essere la risposta alla domanda di e sul futuro che tutti ci sentiamo urgere dentro. Già infuria la polemica sulla mancata prevenzione degli incidenti ma anche sulla repressione, su chi (nei palazzi o nelle piazze?) ha cercato o non ha invece evitato lo scontro e perché. Il tutto risulta, ahinoi, stucchevole e asfittico. Tanto è grande e grave la domanda tanto è desolante la mancanza di risposte adeguate. Ma il bisogno rimane e interpella tutti, ciascuno al proprio livello e con la propria responsabilità. Aprendo gli occhi, e i cuori, qua e là spiragli se ne vedono. Non prevalga chi vuol metterci una pietra sopra.