Opinioni

Lavoro. La chiusura dell’agenzia pubblica, fiore all’occhiello mancato del Jobs Act

Michele Tiraboschi e Francesco Seghezzi sabato 17 giugno 2023

E così anche la parabola dell’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (Anpal), uno dei fiori all’occhiello del Jobs Act, si è chiusa. La notizia non era inattesa. Siamo ora solo all’atto finale di una morte da tempo annunciata: non tanto e non solo per volontà politica ma per un suo oggettivo fallimento rispetto alle tante promesse che la sua nascita aveva alimentato. È pertanto doveroso ripercorrere non tanto le sue attività e le travagliate fasi che ha attraversato, quanto la visione delle politiche del lavoro ad essa sottesa per trarne alcune indicazioni sulla situazione attuale e soprattutto sul futuro.

L’Anpal è stata introdotta con l’idea di unificare sotto un unico ente le competenze in materia di politiche attive del lavoro, fino a quel momento appannaggio delle diverse regioni. Il disegno complessivo era quello di implementare in Italia, con troppi anni di ritardo, il modello nordico della flexicurity e l’Anpal sarebbe servita da contraltare, lato tutele, al superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Si era fin da subito capito però che la centralizzazione di per sé non garantiva uno strutturale cambiamento del sistema delle politiche attive in Italia, a maggior ragione considerato il fatto che non veniva accompagnata da una dotazione finanziaria in grado di supportare una azione riformatrice. Si è trattato di un intervento di natura amministrativa e organizzativa che fin dall’origine non contribuiva a ripensare una urgenza, quella di una nuova visione delle politiche attive del lavoro non più nei termini di un collocamento da posto a posto ma come strumento di accompagnamento dei bisogni dei lavoratori o di coloro che vorrebbero lavorare all’interno di un mercato del lavoro più instabile e complesso.

E così il tema della ricollocazione prendeva il sopravvento rispetto a quello della occupabilità nei termini di percorsi personalizzati di riqualificazione e formazione di gruppi alquanto eterogenei di persone più o meno ai margini del mercato del lavoro. Per questo l’esito del referendum costituzionale del 2016, che avrebbe dovuto ricentralizzare le competenze in materia di lavoro dando piena legittimazione all’Anpal, è solo un tassello del suo fallimento, che già era annunciato dalla debolezza del disegno iniziale. Ma allo stesso tempo l’esistenza e le disfunzioni stesse di Anpal (ricordiamo il periodo della Presidenza Parisi e le polemiche che la accompagnarono, ad esempio) sono state troppe volte il capro espiatorio per programmi di politiche del lavoro che non sono funzionati, come ad esempio Garanzia Giovani o più recentemente le difficoltà legate a G.O.L.

Occorrerà certamente capire co-me il Ministero del lavoro vorrà ora interpretare il suo ruolo rispetto alle politiche attive gestendo il rapporto con i territori e con le regioni. Nel frattempo, la polarizzazione nel mercato del lavoro tra figure che riescono a muoversi in autonomia e coloro che restano al margine è cresciuta, il calo demografico rende più complesso l’incontro tra domanda e offerta (che non c’è), l’integrazione della popolazione straniera è sempre più urgente, così come rendere efficaci gli strumenti di sostegno al reddito e le misure per contrastare la povertà. Sta di fatto che oggi le politiche attive non possono più essere di sola competenza dell’attore pubblico e tanto meno disegnate per chi ha perso un lavoro o rischia di perderlo. I nuovi mercati del lavoro richiedono se mai un nuovo protagonismo degli attori dei sistemi di relazioni industriali a cui compete, storicamente, la costruzione sociale dei mercati del lavoro, la definizione dei profili professionali e la misurazione del valore economico e di scambio del lavoro. Senza questo si potrà discutere, come avvenuto dal dopo guerra fino a oggi, della centralizzazione o del decentramento dei servizi al lavoro ma si procederà a costruire una infrastruttura burocratica del tutto slegata dalle dinamiche reali dei territori e dei diversi mercati del lavoro.