Opinioni

Le conseguenze del coronavirus. La fame che già cresce e che dobbiamo saziare

Marina Corradi sabato 28 marzo 2020

Fame. È la parola pronunciata sabato dal Papa nella Messa a Santa Marta. Francesco parla spesso di fame nel mondo, ma questa volta lo fa in un’accezione nuova. Come conseguenza della pandemia: «Si incomincia a vedere gente che ha fame perché non può lavorare, non aveva un lavoro fisso, e per tante circostanze. Incominciamo già a vedere il "dopo", che verrà più tardi, ma incomincia adesso». Nuova fame di nuovi poveri, che fino a ieri se la cavavano, precari, lavoratori in nero o confinati nella sempre più grande zona grigia del lavoro povero, ma anche dipendenti licenziati. Una folla appiedata di colpo, che da un giorno all’altro non porta a casa niente. Gente che la fame vera non l’ha mai vista, ed è attonita, e si vergogna, a domandare. (La telefonata pudica di una giovane mamma filippina, colf in nero, lui finora fattorino precario, due figli, uno neonato. Estorcerle a fatica la verità: «Non abbiamo più niente da mangiare»).

Appena dopo il Covid-19, avverte il Papa, si profila all’orizzonte un’altra onda burrascosa. Fame, anche in zone d’Italia e d’Occidente in cui, comunque, si mangiava. Chiesa, Caritas, Banco Alimentare e tutto il volontariato italiano, come registra da settimane questo giornale, si stanno dando da fare con tutte le loro forze accanto alla Protezione Civile per l’incipiente emergenza. Ma l’epidemia paralizza le città, ed è difficile anche riconoscere e raggiungere chi ha bisogno. Nuovi poveri che mai prima hanno chiesto un aiuto, e non hanno il coraggio di farlo, o non sanno come. L’altro giorno a Palermo alcune famiglie si sono presentate alla cassa col carrello pieno: «Non abbiamo soldi, ma dobbiamo dare da mangiare ai figli». Sul web si cominciano a alzare delle voci: se non abbiamo più un euro, andiamo a saccheggiare. Perfino nelle code davanti ai supermercati di Milano si sente mormorare: fino alla settimana prossima ce la facciamo, e dopo? E tutti tacciono, e nessuno sa cosa replicare.

Fame, qualcosa di remoto, di cui ci hanno raccontato padri e nonni, di cui erano esperte soprattutto le donne sempre in battaglia per scongiurarla: e i nostri figli, cresciuti nell’abbondanza di merce che ci travolge, stentavano a crederci. Una sofferenza che, se la provi, ti cambia lo sguardo. (Mio padre, come si incupiva se noi si buttava una pera troppo matura: «In Russia, con quella ci vivevo per due giorni»). Fame, ha detto il Papa, che ascolta l’Italia e il mondo, e se pronuncia quella parola sa cosa dice.

Anche per questo forse aveva il passo lento e pensieroso del pellegrino, Francesco, l’altra sera, nella vastità del Colonnato deserto, mentre saliva verso la Basilica vaticana a pregare per il mondo intero. Il cielo cominciava a imbrunire, e su Roma cadeva una pioggia intensa. Tempesta e buio: straordinariamente, come nel Vangelo di Marco che il Papa aveva scelto di leggere. «Venuta la sera», inizia quel passo. Sì, è calata d’improvviso, un buio di cui la nostra generazione, tranne i più vecchi, non ha memoria. Soffrono e muoiono in tanti. Stanno cadendo a decine medici, infermieri, sacerdoti, anziani negli ospizi. Le bare esuli sui camion dell’esercito da Bergamo, dove sono troppe per seppellirle, sono la tragica istantanea di questi giorni. Ma un’altra tempesta incombe, quella della mani vuote e dei piatti vuoti.

A tutti è chiesto di capire, questo ci dice il Papa, che cosa è necessario e cosa è superfluo. Almeno il superfluo, lo si può donare. È il tempo di guardarsi tutti attorno, e aiutare. In fretta: Chiesa, Caritas, volontariato stanno dispiegando le loro forze, lo Stato – la nostra Repubblica – si prepara a fare il molto che deve e che può, ma è urgente lo sguardo su chi ci vive vicino. La fame, ha fretta. E non lasciamo che l’angoscia per contagio e morte e disoccupazione ci sommerga.

La distribuzione dei pasti agli indigenti - Fotogramma

«Perché avete paura?», domanda Cristo, sulla barca di Pietro che beccheggia. Perché avete paura? Questa domanda Francesco venerdì ce l’ha ripetuta ben cinque volte. «Non avete ancora fede?», chiede ancora Gesù ai discepoli spaventati. Il nodo, ha detto il Papa, è imparare a «fidarsi di Cristo». Lasciando che le nostre precedenti certezze rovinino, lasciando anche che la tempesta ci percuota. Ma sapendo che «con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte». Come i temporali che in un Venerdì di una inimmaginabile Quaresima sferzava Roma. Che lasciano, all’alba, un cielo terso e un’aria nuova – un’aria rinata.