Opinioni

Legittima difesa «allungata». Altro che fai-da-te in casa

Giuseppe Anzani venerdì 5 maggio 2017

Toccare il codice penale in alcuni punti specifici è come infilare un cacciavite negli ingranaggi di un orologio, con voglia di mettere a registro il bilanciere e cambiare la misura del tempo. Bisogna sapere cosa si sta facendo, cosa si sta toccando, per non fare più guasto che rimedio. Non dico del codice penale in generale, come catalogo dei delitti e delle pene; dico dei princìpi fondamentali, dei criteri di giustizia e di ragione che reggono il sistema e che sono radicalmente imparentati con l’etica. La relazione fra colpa e pena, per esempio; il rilievo della coscienza e della volontà; il peso delle circostanze che aggravano o attenuano la responsabilità soggettiva, e via. In particolare le "cause di giustificazione": quelle che tolgono a una condotta materialmente delittuosa il suo profilo illecito, e la rendono "non punibile"; tipica, fra le pochissime altre, la legittima difesa.

>>> LE MODIFICHE ALLA LEGGE

Quando un concetto è chiaro, poche parole bastano a sbozzarlo: «Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa». Che cosa manca alla completezza di questo orizzonte? Non è la varietà delle circostanze (la strada o la casa, il giorno o la notte), la qualità o il nome del diritto difeso (la vita, le cose), il tipo di offesa (la violenza o l’inganno) ciò che disegna il paradigma della difesa legittima, ma i criteri essenziali e costanti: l’attualità del pericolo, l’ingiustizia dell’offesa e la proporzione della reazione difensiva. Giudicare questi tre criteri è discernimento, mestiere d’intelligenza. È quella che manca?

L’equilibrio di questo bilanciere non dipende dal censimento dei delitti, o dalla insicurezza sociale; vale sempre, fronteggia anche le situazioni insidiose che le cronache ci mettono sotto gli occhi, e che sono pugnalate di paura. C’era già una spinta emozionale di paura nella riforma fatta nel 2006 che diceva proporzionato l’uso di armi contro un intruso in casa o in bottega, per difendere l’incolumità (o anche solo i beni, se quello non desisteva e c’era pericolo di aggressione). E così cercava di intercettare in anticipo il giudizio processuale sulla proporzionalità della reazione difensiva, quasi a ripararla dal rischio di accuse scandalose di eccesso colposo. In certo modo premasticando il lavoro ai giudici.


E forse sono ancora le storie tragiche narrate dalle cronache che hanno indotto la Camera dei deputati ad approvare un nuovo mutamento, che sembra resettare il giudizio tout court sulla legittimità della difesa per chi reagisce a un’aggressione notturna, o a una intrusione violenta in casa o bottega; senza peraltro poter estromettere le esigenze di proporzione e di attualità del pericolo. Di nuovo avendo di mira più le vicende processuali che quelle sostanziali, come dimostra la scriminante per chi sbaglia nel reagire (magari sparando) se il suo errore è conseguenza di un grave turbamento psichico, causato dall’aggressore, in situazioni di pericolo per la vita o l’incolumità personale o sessuale.


Una legge fatta per incidere sui giudizi? Non dimentichiamo che le leggi penali incidono anche, primariamente, sulla condotta. L’obiettivo di aprire un ombrello più largo agli aggrediti in casa, o di notte, nei giudizi per la loro reazione (se fuori misura), e pagargli l’avvocato quando sono assolti è un conto; la suggestione al grilletto facile che può scaturire da questo riparo legale è un altro conto. Già si sentono slogan come "a casa mia mi difendo come dico io", che restano insensati, e la sicurezza sociale non se ne giova. C’è invece una difesa comune da mettere a punto, insieme, meglio del fai-da-te delle armi in casa col colpo in canna; una difesa sociale, preventiva, fatta di contiguità e attenzione reciproca; e tecnologicamente sapiente. Le videocamere sono meglio dei mitragliatori.