Opinioni

Discriminazioni. La comunicazione autolesionista dell’intolleranza anti-famiglia

Alberto Contri mercoledì 24 luglio 2019

Caro direttore,
assai mal consigliate, molte marche stanno diventando vittime di una grave eterogenesi dei fini. Quelle che dovevano essere sacrosante campagne per la parità dei generi nella società e nei luoghi di lavoro si stanno convertendo in ben altro. Il fatto è che, iniziando con lo stigmatizzare le discriminazioni, si è oggi arrivati a sposare la causa di chi apertamente discrimina, disprezza, delegittima la famiglia cosiddetta 'tradizionale' (quella creata da una donna e un uomo).

Possibile che così competenti consulenti e vertici di blasonate imprese non si accorgano che dietro il bellissimo termine inclusione oramai si celino una palese esclusione e una crescente discriminazione di chi osa credere nella famiglia così come la delinea la Costituzione italiana all’articolo 29 (e seguenti)?

Ascoltiamo in merito cosa afferma la parlamentare Monica Cirinnà, esponente del Pd e principale autrice del testo della legge sulle unioni tra persone dello stesso sesso: «Il concetto di famiglia tradizionale è fascista. Rieducheremo gli oscurantisti ». Come se non bastasse, la promozione della diversità, invece di sottolineare il valore delle singole peculiarità, propone una paradossale omologazione intorno a un pensiero unico che non ammette distinzioni o ragionamenti, pena l’immediato e infamante stigma dell’omofobia.

Che esiste ed è un problema serio, ma che è scandaloso confondere con la promozione e la difesa della famiglia. La riprova conclamata di questa eterogenesi dei fini risiede nel fatto che oramai i sostenitori della parità (e della confusione) tra i generi non si limitano a rivendicarla, ma si impegnano nel cercare di indottrinare con appositi corsi a base di teorie gender (come se fossero le uniche ammesse) anche i bambini dei dipendenti delle aziende. Per non parlare degli assessori che stanziano cospicui fondi per proporli nelle scuole.

Gli stessi Gay Pride cui le marche partecipano sempre più numerose, stanno assumendo connotazioni di un tale volgare e sguaiato esibizionismo, che le foto di alcuni di quelli che sono saliti sui palchi o sfilato per strada vengono 'censurate' persino da Facebook (!) perché ritenute offensive del senso del pudore, o – più modernamente – della netiquette: un bel paradosso per uno dei colossi del web più assidui nella promozione delle stesse teorie della molteplicità e fluidità dei generi! Teorie che hanno diritto di esistere come tante altre, che invece vengono tacciate di essere medioevali e oscurantiste, senza più diritto di cittadinanza in una società 'moderna'. Il progetto di smantellamento della famiglia tradizionale ha già portato, negli ultimi otto anni, insieme ad altre concause, a un saldo negativo in Italia di 140.000 neonati.

Ragionando in meri termini di marketing, è evidente che proseguendo in questo robusto sostegno alle campagne contro la famiglia che genera figli – che nulla c’entra persino con la promozione di pari dignità per tutte le opzioni sessuali e di coppia – le marche stiano semplicemente segando il ramo su cui sono sedute. Promuovendo, in questa forma così massiccia e addirittura intimidatoria, stili di vita contrari alla famiglia capace di generare figli, a chi mai venderanno tra qualche anno beni e servizi necessari alla gestione delle famiglie, che costituiscono l’universo con la percentuale più rilevante di consumatori? Ed ecco la sorpresa: i consumatori-cittadini stanno cominciando a non accettare che le marche si intromettano nell’educazione dei figli o influenzino in forma così prevaricante e insistente il modo di pensare della popolazione.

Di questo le marche dovrebbero cominciare a preoccuparsi dato che il popolo dei cittadini, giova ribadirlo, è anche il popolo dei consumi. Quanto ai pubblicitari, che in parte significativa hanno tralignato per mera avidità rispetto a una gloriosa tradizione di creatività, sarebbe meglio si impegnassero di più nello studiare nuove strategie di promozione di lavatrici o salvaslip nella complessa era della costante attenzione parziale, invece di vergognarsene, aspirando a diventare maître à penser di un pensiero tristemente unico (e quindi per nulla creativo).

Ancora più grave che stiano ignorando pilastri del marketing come la sempre validissima Usp ( Unique Selling Proposition, anche se oggi viene chiamata in altri modi), che privilegia la ricerca di quel peculiare fattore in grado di aiutare la marca a differenziarsi dai concorrenti. Vestire tutte le marche con la stessa maglietta 'arcobaleno' è quindi un controsenso, mentre il pensiero unico postmaterialista, invece di essere progressista, sta mostrando il suo volto assolutista e dittatoriale, genuinamente fascista, e quindi senza alcun futuro. Altro che libertà di pensiero...

Docente di Comunicazione Sociale Università Iulm