Opinioni

Economia e demografia. La Cina e noi

Massimo Calvi sabato 31 ottobre 2015
C'è un calcolo economico dietro la scelta della Cina di abbandonare la tragica politica del figlio unico. La storica decisione, annunciata dal Partito comunista giovedì 29 ottobre, dopo 35 anni di vincolo disumano, era attesa da diverso tempo. Ma è emblematico che sia arrivata a poca distanza dalla revisione al ribasso della crescita del Pil attesa quest’anno (dal 7 al 6,9%) e dall’ennesimo taglio dei tassi di interesse per sostenere l’economia. Pechino ci restituisce l’immagine di un impero che di fronte all’inevitabile frenata della sua espansione si aggrappa alla risorsa della popolazione per scongiurare un’implosione del suo modello sociale ed economico. La dittatura del figlio unico ha avuto come effetto quello di non far nascere 400 milioni di bambini, oltre a produrre una serie di atrocità e aberrazioni nella cifra umana del Paese, a partire dai milioni di aborti (quasi tutti selettivi e anti-femminili) praticati per evitare le sanzioni. I casi di corruzione di funzionari sono stati all’ordine del giorno. E sono emersi fenomeni insoliti per aggirare la legge, come il boom dei parti gemellari, ricercati con le tecniche di fecondazione, o persino le registrazioni all’anagrafe di gemelli di altezza e peso eccessivamente diversi, evidentemente non nati nello stesso anno. Ora la Cina cambia, per puro e cinico calcolo economico. La sua finestra demografica, cioè la felice condizione per cui la popolazione attiva è superiore a quella che si fa mantenere, si è già chiusa da qualche anno, e la casa sta scricchiolando. Pechino chiede alle coppie di avere due bambini, preoccupata di un tasso di fertilità sceso a 1,19 figli per donna. Un dato angosciante, ma che ha uno suono famigliare quanto sinistro: in Italia siamo a 1,39 figli. In buona sostanza, pur senza imposizioni di partito, nel nostro Paese riusciamo ad avere solo 0,2 bambini in più della Cina. E purtroppo, a differenza di altri contesti sociali, questo non è l’esatto desiderio della popolazione: una recente indagine Istat indica che le donne italiane sognano ancora di poter avere almeno due figli (la media dice 2,3 figli a testa). Cioè quasi uno in più di quello che riescono a fare nella realtà. Siamo diventati una nazione di figli unici, senza che nessun potere centrale lo imponesse. Come si legge nell’ultima relazione del Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ormai la maggioranza delle famiglie con minori (il 51,6%) ha un solo bambino. Genitori con pochi figli, bimbi e bimbe senza fratelli e sorelle. Una circostanza che ci avvicina paurosamente alla Cina irregimentata e che si presta a due considerazioni. La prima è di carattere economico: come mai in Italia non c’è un serio dibattito pubblico sui costi della denatalità? Perché nel ragionare di come sostenere la crescita di lungo periodo non si parla mai del capitale umano e della popolazione? Uno studio della Banca centrale spagnola ha calcolato che all’Italia lo squilibrio demografico nel decennio 2010-2019 costerà in media 0,6 punti di crescita ogni anno rispetto al periodo precedente. Come mai le tante "vestali" del Pil non se ne curano? La seconda considerazione è necessariamente di carattere umano. Quello che manca oggi all’Italia, statisticamente parlando, non sono tanto le madri, quanto le madri di più bambini. A trattenere le coppie dal mettere al mondo quel figlio in più che desiderano, i fattori determinanti possono essere molti: di carattere economico, in termini di servizi che mancano, di politiche fiscali storicamente penalizzanti, di contesti di lavoro ostili alla dinamica famigliare, di educazione, di ambiente culturale sfavorevole in sé alla natalità o a una visione non individualista della vita. Li conosciamo da tempo, li analizziamo da anni, e ogni volta che se ne ragiona sembra di tornare al punto di partenza: niente riesce a smuovere lo status quo, quella condizione che, nonostante i tanti e promettenti segnali di ripresa che si presentano, ci costringe a fare i conti ogni volta con una prospettiva di declino. Siamo un Paese forte, libero e democratico, eppure l’insieme di tutti questi fattori ci ha resi di fronte alla natalità come sudditi di un regime. La Cina, pur con molti limiti, ha detto fine alla politica del figlio unico. E noi?