Opinioni

Il dialogo tra ebrei e cristiani e la lezione conciliare. La benedizione delle Parole condivise

Michele Giulio Masciarelli giovedì 17 gennaio 2013
Risuonano ancora, con eco forte e limpida, le parole del decreto conciliare Nostra aetate: «Scrutando il mistero della Chiesa, questo sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo» (n. 4). È da 48 anni che il dialogo tra cristiani ed ebrei è sotto il pungolo forte e dolcissimo di questo frammento di un decreto nel quale s’è pensato addirittura di poter trovare una delle idee­madri dell’intero Vaticano II, e cioè l’incontro con le religioni radunate in una ideale tenda planetaria. Certamente entra nel cono di luce del n. 4 di quel decreto la «Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei» che si celebra oggi. Il 17 gennaio è una data cerchiata con doppio filo d’oro sia sul calendario degli ebrei sia su quello dei cristiani, anche perché ricorda lo stesso giorno in cui, nel 2010, Benedetto XVI ha incontrato la Comunità ebraica di Roma confermando la bontà del cammino di dialogo fin qui percorso tra i cristiani e i nostri 'padri nella fede', e indicando nuovi orizzonti di incontri.
Al breve frammento della Nostra aetate citato il Concilio ne aggiunge un altro che ne amplifica la forza: «La Chiesa di Cristo riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti e che la salvezza della Chiesa è misteriosamente prefigurata nell’esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù». Questi due brevi passi conciliari sono di una densità di sensi particolarmente profonda e vasta. Il Concilio vi vede il legame ebrei-cristiani non anzitutto o solamente nell’orizzonte della storia ma nel cuore del mistero ecclesiale. Si tratta perciò di qualcosa che attiene all’essenza delle cose: il «popolo del Nuovo Testamento» è così fortemente legato «con la stirpe di Abramo» da non essere pensabile senza tale legame spirituale, da non spiegare la sua esperienza credente senza trovarne l’incipit temporale e paradigmatico nella vocazione e nella storia d’Israele.
Già nella Sinagoga di Colonia nell’estate 2005, ma anche nel Tempio maggiore degli ebrei romani, Papa Ratzinger indicava un comune riferimento di responsabilità per i cristiani e gli ebrei nei confronti nelle "Dieci Parole". La responsabilità comune richiamata da Benedetto XVI ha un nome concreto. Nel Messaggio per la Giornata di quest’anno il vescovo Mansueto Bianchi e il rabbino Elia Enrico Richetti osservano: «Nel nostro mondo molti non conoscono Dio o lo ritengono superfluo, senza rilevanza per la vita; sono stati fabbricati così altri e nuovi dèi a cui l’uomo si inchina. Risvegliare nella nostra società l’apertura alla dimensione trascendente, testimoniare l’unico Dio è un servizio prezioso che ebrei e cristiani possono offrire assieme». 
La Giornata odierna ha come tema «Non commettere adulterio» (Es 20,1,14). La rigorosità della «Settima Parola» è tale che autorevoli commentatori, tra i quali l’ebreo Filone di Alessandria, la collocano prima del «Non commettere assassinio» (Es 20,13), ponendola così all’inizio della "seconda Tavola" della Legge dell’Alleanza per farla corrispondere alla solenne proclamazione della £prima Tavola": «Io sono il Signore, tuo Dio» (Es 20,2). L’altezza di un simile messaggio lascia davvero senza respiro, ma stimola anche a un decisivo impegno a favore della fedeltà coniugale per quel che significa in sé e per tanto altro.
È bello che il 17 gennaio sia anche chiamata «Giornata dell’amicizia fra ebrei e cristiani» perché l’amicizia è dialogale e assicura grandi transiti. Sul 'ponte dell’amicizia' passano gli uomini del dialogo e del perdono, i 'giusti d’Israele' e gli 'uomini di buona volontà', destinatari dai cinque Papi del Vaticano II, il Concilio che ha insegnato a tutti a dismettere la logica delle schiene girate e a sostituirla con la logica dei volti che si cercano e si guardano negli occhi, una logica insegnata con maestria sapiente sia dagli ebrei (come Martin Buber ed Emmanuel Lévinas) sia dai cristiani (tra gli altri, Benedetto Calati). Una logica che merita, ed è, una benedizione.