Opinioni

I 6 errori di 11mila scienziati. Salvare il pianeta? Non senza umanità

Massimo Calvi giovedì 7 novembre 2019

L'emergenza climatica richiede interventi immediati ed efficaci. La comunità scientifica, e non solo, lo sostiene da tempo. Di recente più di 11mila scienziati esperti di varie discipline hanno avanzato una lista di 6 proposte concrete da sottoporre ai governi. L’intervento, pubblicato sulla rivista BioScience, suggerisce interventi in gran parte condivisibili per evitare all’umanità "sofferenze indicibili", dall’introduzione di tasse sui combustibili fossili alla riforestazione fino al cambio dei regimi alimentari. L’ultimo punto, tuttavia, chiede di «stabilizzare» e persino ridurre gradualmente la popolazione globale, che aumenta di 80 milioni di persone l’anno. Mentre gli altri suggerimenti non hanno incontrato grandi obiezioni, il capitolo "demografia" ha sollevato diverse critiche, anche da parte di scienziati. Collegare il problema del riscaldamento climatico alla popolazione presenta in effetti una serie di incongruenze non solo culturali, filosofiche o spirituali, ma anche tecniche. Contraddizioni sulle quali vale la pena riflettere, ripercorrendo alcune delle osservazioni già emerse.

La prima contraddizione riguarda l’allarme sulla crescita della popolazione mondiale. Oggi da più parti si è preso atto che il numero di abitanti sul pianeta Terra sarà molto più basso di quanto non si pensasse solo pochi anni fa. L’Onu ha appena tagliato di un paio di miliardi le previsioni sul 2100, portando il dato a 11 miliardi di persone, e presto secondo molti potrebbe rivedere nuovamente le stime al ribasso. I tassi di fecondità stanno crollando in tutto il mondo, nei Paesi sviluppati il numero medio di figli per donna è quasi ovunque sotto il tasso di sostituzione (2,1), ma anche nei Paesi in via di sviluppo, o considerati in espansione demografica, la tendenza è a convergere verso questi livelli. L’India, per fare un esempio, è già scesa a 2,2 figli per donna. In sostanza la crescita della popolazione mondiale sta già rallentando da sola più rapidamente del previsto, anzi, presto la vera emergenza sarà rappresentata dall’invecchiamento, cioè dal fatto che saremo un pianeta con tanti anziani e un numero limitato di giovani.

La seconda contraddizione chiama in causa le soluzioni per limitare l’espansione demografica, che indicano la necessità di migliorare l’istruzione delle ragazze, favorire la parità di genere e rendere più accessibili gli "strumenti" di pianificazione familiare. Sorvolando (per ora) sui rilievi morali, emerge una contraddizione palese: se i tassi di fecondità stanno già crollando ovunque, e se ovunque il problema è l’aumento dell’età media, come si può ridurre veramente la popolazione? Forse riducendo l’aspettativa di vita?

La terza contraddizione conduce alla responsabilità delle emissioni di CO2. La realtà insegna che non sono le persone in quanto tali a inquinare, ma gli stili di vita. Non è un caso che il continente che più fa paura agli "scienziati" quanto ad aumento di popolazione, l’Africa, sia anche quello meno interessato dalla produzione di CO2. La maggiore responsabilità "ambientale" dell’Asia, inoltre, non è imputabile al numero di persone di quel continente, ma a un sistema produttivo inefficiente votato a produrre beni per i consumatori più ricchi. Le emissioni di CO2 non dipendono da chi nasce, ma da quanto e come consuma una certa fascia della popolazione mondiale.

La quarta contraddizione della tentazione neomalthusiana riguarda il rischio di distogliere l’attenzione dal fatto che, salvo eventi catastrofici, la popolazione della Terra da qui al 2100 aumenterà anche se si faranno molti meno figli. L’avanzata dello sviluppo porta sempre con sé una riduzione della taglia delle famiglie, ma a tecnologie immutate questo processo finisce per generare comunque più emissioni di CO2, anche con meno persone. La vera sfida, insomma, è concentrare le energie per capire come rendere più sostenibile lo sviluppo, non come ridurre le nascite.

La quinta contraddizione richiama la capacità di trovare risposte alle grandi sfide dell’umanità. La storia dell’innovazione insegna che le soluzioni sono sempre emerse dove c’è densità di popolazione e di energie, dove il problema è più sentito, non nei territori spopolati, caratterizzati da declino e decrescita. Un modo per dire anche che tra i figli che non nasceranno per richiesta degli "scienziati" potrebbe esserci il ricercatore che troverà la risposta al riscaldamento climatico.

Il sesto e ultimo rilievo è di carattere culturale e morale, ma non per questo meno razionale. L’idea che dei bianchi ricchi decidano che alcune aree del pianeta debbano essere tenute sotto controllo demografico fa ripiombare l’umanità nell’era oscura dell’imperialismo colonialista e oltretutto rischia di trasformare la scienza del clima e l’universo ecologista in un movimento ideologico dai contorni inquietanti, una landa ai confini con il razzismo e la deriva eugenetica. Declini che in genere non risolvono i problemi, ma li alimentano.

Per concludere, il documento degli 11mila scienziati può essere utile nel momento in cui aiuta ad aprire una discussione ad ampio raggio sulla questione ambientale. Anche per dire, però, che oggi il mondo ha bisogno di più ricerca scientifica, non di una ricerca orientata da una parziale visione del mondo. L’enciclica Laudato si’, che talvolta è citata impropriamente, invita a una «conversione» nello spirito di un’«ecologia integrale». D’altra parte, sottrarre i figli dall’orizzonte dell’umanità significa semplicemente eliminare la ragione per cui dovremmo impegnarci per salvare la Terra.