Opinioni

Alcune possibili analogie con l'oggi. Dall'Italia in frantumi nacque il Rinascimento

Giovanni Gazzaneo martedì 5 febbraio 2013
​L’Italia è un Paese in crisi. Divisa tra interessi di parte e fazioni. Una crisi morale e spirituale prima che economica e politica. Non è (e potrebbe esserlo) la descrizione dell’Italia di oggi, ma di oltre cinquecento anni fa. Un Paese devastato dalle guerre: Carlo VIII e l’esercito francese aprono nel 1494 le campagne militari in cui le grandi potenze europee faranno della Penisola oggetto di desiderio e terra di battaglia fino alla pace di Cateau-Cambrésis nel 1559. Anche allora, ma ben in altro modo, chi contava di più Oltralpe faceva sentire tutto il peso della sua potenza.La fine del Quattrocento è segnata dalla scomparsa di alcuni dei grandi protagonisti del Rinascimento: nel 1492 muore Lorenzo de’ Medici (gli succede Piero, figlio maggiore del Magnifico, che passerà alla storia come "il fatuo"); lo seguiranno due anni dopo Pico della Mirandola e Poliziano. Sembra la fine di un mondo. Non è così: è questo il tempo in cui il Rinascimento raggiunge la sua piena maturità. La stagione più straordinaria delle arti non germoglia in un’età aurea, appannaggio più della fantasia che della storia, ma in un periodo dove le tenebre sembrano prevalere sulla luce. La straordinaria lezione che ci viene dal Rinascimento – a cui è dedicato lo speciale di Luoghi dell’Infinito di febbraio, il mensile di Avvenire in edicola da oggi – non è dunque solo nel segno della bellezza. La priorità data alle arti e alla cultura – in decenni di guerre e in un’Italia frantumata in ducati, repubbliche e piccoli regni in lotta aperta tra loro o piagati da intrighi interni – nasce dalla libertà di chi non si lasciava schiacciare dalle angustie di un difficile presente e sapeva guardare oltre nel segno della speranza, il vero orizzonte in cui la domanda di vero, di bene e di bello che l’uomo porta in sé trova espressione. Solo in questa prospettiva possiamo comprendere come i pontefici Giulio II, a cui si deve l’ideazione della nuova basilica di San Pietro, e Leone X proseguirono l’opera dei predecessori e sostennero Bramante, Michelangelo e Raffaello: committenze e mecenatismo fecero di Roma il centro artistico e culturale del mondo. Solo in questa prospettiva possiamo cogliere la portata dell’impresa di Pietro Bembo, patrizio veneziano che scelse le lettere come ragione di vita, segretario di Leone X e cardinale con Paolo III. Egli capì che solo una svolta culturale poteva offrire il riscatto per le genti d’Italia. E questa svolta fu la lingua scritta, che codificò dettandone le regole nelle "Prose della volgar lingua" del 1525. E così gli italiani nacquero, ben prima che nel segno dei Savoia, nel segno della grammatica. Bembo, a cui viene ora dedicata una grande mostra a Padova, fa della sua casa un luogo di approdo e di dialogo tra i grandi del tempo e primo museo di arte rinascimentale. Non solo: con l’editore Aldo Manuzio inventa nel 1501 il libro tascabile. A differenza dei grandi volumi che si leggevano ad alta voce nelle aule universitarie, il nuovo formato, per la prima volta in carattere corsivo, è così piccolo da poter stare in una mano. Un esempio di quell’insieme di idee, invenzioni e scoperte che hanno traghettato l’umanità dal Medioevo all’Età moderna. Un’età che ci riguarda appieno, visto che non siamo riusciti a staccarcene se non con un "post": per definire parte del secolo scorso e i nostri giorni non abbiamo coniato nulla di meglio di "postmodernità". Di quell’età la manualistica ha sottolineato fino alla banalizzazione concetti come «l’uomo centro del cosmo e protagonista della storia», «la riscoperta e il ritorno ai canoni della classicità», offrendo come chiave di lettura l’affrancamento da Dio, il non concepirsi creatura, l’orizzonte di un cielo vuoto. Ma la gloria del corpo plasmata da Michelangelo e compagni è quella che scaturisce da Dio che si fa uomo. E la bellezza a cui danno espressione, se da un lato guarda alla perfezione impossibile dei maestri greci, dall’altra attinge al Signore della vita rinnovando i canoni della tradizione medioevale, ma sempre nel duplice segno dell’Ecce Homo e del Risorto, dell’unica bellezza che abbraccia tutto l’uomo e Colui che dell’uomo si è fatto figlio.