Opinioni

Botta e risposta. Assegno unico, bonus e Isee: le radici dell'ingiustizia familiare

Massimo Calvi sabato 18 giugno 2022

Mancano cultura e misure economiche universali per rilanciare la famiglia. Ma c’è un vuoto d’attenzione bipartisan. L’Assegno unico è un sostegno importante, eppure depotenziato: ha allargato molto la platea dei beneficiari, ma investendo risorse limitate

Caro direttore,

ho riflettuto sulle proposte Bonetti tendenti a modificare l’Isee in applicazione all’assegno unico, ma pur ritenendole migliorative delle norme attuali, mi è sorto un forte dubbio. Nasce dalla considerazione che lo Stato concede bonus per acquisti di televisore, o biciclette, o vetture, o bonus mirati a studenti o insegnanti o a quant’altri, oppure a bonus di sostegno per altri acquisti o lavori come, ad esempio, quelli che danno diritto a un bonus del 110 per cento, senza mai chiedere certificazione Isee. Perché, mi chiedo, la misura dell’assegno unico deve essere sottoposta a tale regola? La risposta pare sia quella dell’obiettivo equità, ma in tal caso, e per gli esempi riportati, l’equità in Italia emerge con due facce, una con limitazioni per la famiglia, e una altra, omnibus, senza limitazione alcuna per quasi tutto il resto. A mio avviso nel nostro Paese, e per il suo futuro, serve il coraggio di aprirsi a percorsi nuovi verso la famiglia e la natalità. L’assegno unico, appena entrato in vigore, costituisce certamente un sistema o binario degno di apprezzamento, ma non è tutto. Perché non evitare l’assoggettamento a misuratori economici o Isee, copiando la politica dei bonus? Una novità, questa, che eliminerebbe la farraginosa procedura per la richiesta, per la concessione, per il controllo, e ridurrebbe drasticamente i costi burocratici. La certezza del sistema poi, comporterebbe una maggior fiducia delle famiglie e dei genitori verso lo Stato, attribuendo allo stesso il merito di riconoscere nella famiglia e nella vita nascente, il futuro della società. Ovviamente il segno concreto passa anche attraverso la misura che giocoforza deve superare di gran lunga quelle complessive precedenti. Ci vuole metodo e ci vuole il coraggio politico di scelte confacenti, che io auspico.

Franco Trevisan, Cordenons

Gentile lettore,

il direttore mi affida il compito di risponderle e lo faccio volentieri condividendo con lei l’opinione che mi sono fatto in molti anni di approfondimento delle questioni che lei solleva. Gli aiuti economici legati alla natalità vanno inseriti in un sistema coerente e organico di misure a tutela della famiglia, perché un incentivo su un aspetto così specificamente umano rischia sempre di inserire un elemento di “mercificazione” della natalità in una dimensione che invece dovrebbe essere solo caratterizzata da amore e dono di sé. L’aspetto culturale (e spirituale), insomma, anche per me conta molto di più di qualunque incentivo. Ma è anche vero che la misura economica, a seconda di come è congegnata e proposta, può contribuire a ”fare cultura”. L’esperienza italiana insegna proprio questo: per anni si è fatto di tutto per disincentivare le coppie ad avere figli, concedendo assegni familiari solo ai lavoratori dipendenti con redditi molto bassi, e limitate detrazioni fiscali a chi guadagnava (o dichiarava) poco.

L’Assegno unico entrato in vigore a marzo 2022 ha avviato un giusto percorso per mettere ordine, allargando molto la platea dei beneficiari, investendo però risorse limitate. L’Assegno è un sostegno importante, ma depotenziato: molti ci hanno guadagnato, in troppi non hanno notato miglioramenti o ci hanno perso, aggiungendo a questo il peso di un nuovo adempimento burocratico: la presentazione dell’Isee. Lei dice che si potrebbero imitare gli altri bonus, e non ha torto. I bonus sono una forma di droga che si somministra per sostenere un settore che non va come si vorrebbe (e paradossalmente la crisi di alcuni ambiti economici si deve proprio al calo della natalità). Avrebbe molto senso – come dice lei – pensare a una misura per i figli che, come gli altri incentivi, sia veramente universale. In quasi tutta Europa fanno così. Perché? Perché se un Paese ha un problema demografico, con poche nascite che compromettono la sua sostenibilità futura, per rivitalizzare la dinamica della popolazione si dovrebbe agire (anche) come si fa per rilanciare il mercato delle costruzioni, dei mobili, della mobilità elettrica, delle bici, dei monopattini, dei depuratori d’acqua... etc: concedere vantaggi apprezzabili a tutti.

Perché in Italia non si è fatto? Per ragioni culturali che appartengono alla storia delle forze sociali e politiche di questo Paese, e che spiegano parte della crisi demografica. In estrema sintesi si potrebbe dire che, da un lato, l’area culturale che fa riferimento alla “sinistra” fatica molto ad accettare l’idea che tutte le famiglie debbano essere sostenute nelle spese di mantenimento dei figli, e dunque propende per ancorare rigorosamente gli aiuti alla situazione economica; dall’altro lato l’area della “destra” italiana si è data la parola d’ordine di non far pagare troppe tasse a tutti (anche a chi già evade), e l’idea di un premio specifico alle famiglie con figli resta un obiettivo secondario e accessorio. Un vuoto d’attenzione bipartisan che fa storia a sé rispetto sia all’esperienza delle socialdemocrazie del Nord Europa, sia ai partiti popolari continentali, sia ai movimenti nazionalisti dell’Est.

È per questo che in Italia non si è varato un sistema di aiuti universale e generoso, magari fondato su due pilastri, secondo l’esempio di Francia e Germania: una parte, cioè, affidata a un assegno che può essere anche molto più consistente dell’attuale per i (veri) poveri, e una parte che invece si rivolga a chi paga più tasse (che è diverso dal dire “a chi è ricco”) e consenta grossi risparmi fiscali al crescere della prole. Mantenere un figlio costa dai 500 ai 700 euro al mese a seconda di dove si vive, un benefit monetario o uno sconto fiscale di 200-300 euro al mese dovrebbe essere un diritto universale.

L’augurio è che questa analisi sia sbagliata e che invece le riforme finalmente avviate in modo bipartisan consentano quel recupero demografico che sarebbe necessario a non far implodere il Paese nei prossimi due-tre decenni. Il cantiere dell’assegno unico è sempre aperto e in miglioramento, mentre il Family Act procede. Nell’attesa di scoprire come andrà, proseguiamo con l’Isee, che solo per l’apparato di gestione di cui necessita costa alle casse pubbliche circa 120-150 milioni di euro ogni anno...

Caporedattore di Avvenire