Opinioni

Doppia lettura della crisi economica a Teheran. Iran, le sanzioni piegano il regime o il regime cavalca le sanzioni?

Riccardo Redaelli venerdì 12 ottobre 2012
​La battuta che circola per Teheran rivela la drammaticità della continua perdita di valore del rial, la moneta nazionale iraniana: «Ma adesso quanto vale il rial? Ti interessa sapere il valore di quando me lo hai chiesto o di adesso?». Dopo anni di stabilità, infatti, il cambio nei confronti del dollaro è via via sprofondato, dai 10.000 rial per dollaro del novembre scorso ai 30.000 di questi giorni. Un collasso sempre più repentino che ha effetti pesantissimi sul potere d’acquisto degli iraniani e che ha portato alle dure proteste dei baazari, il potente ceto sociale mercantile dell’Iran. Per i fautori delle sanzioni contro Teheran, il crollo del rial è la dimostrazione che esse funzionano. E funzionano bene, soprattutto da quando sono state allargate al settore petrolifero. L’Iran si trova intrappolato fra crescenti difficoltà a vendere il proprio petrolio e la paralisi delle transazioni finanziarie. Anche i Paesi amici che non applicano le sanzioni faticano a effettuare i versamenti. La Turchia, per fare un esempio, paga ormai le sue importazioni di gas in oro. Mentre il regime è costretto a pagare cash in modo rocambolesco (alti funzionari e politici che escono dai confini con valigie di contanti) e con costi sempre crescenti. Se Teheran non cederà, fermando il proprio programma nucleare che tanto spaventa la comunità internazionale, finirà con il portare al collasso la propria economia e a mettere a repentaglio la propria sopravvivenza. Addirittura, il successo di queste sanzioni è tale – dicono – da allontanare lo spettro di un bombardamento israeliano. I danni all’economia iraniana sono così gravi, è la tesi, da far riconsiderare al governo israeliano la strategia da seguire: se davvero le tensioni economiche e finanziarie stanno già provocando proteste e tensioni, vi è la possibilità che il regime ceda di fronte alle sanzioni e fermi le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Un bombardamento ora sarebbe solo controproducente. Oggettivamente vi è del vero in questa linea di pensiero. Ma la realtà è decisamente più complicata di così. Le sanzioni, come noto, hanno la tendenza a colpire duro, ma spesso gli obiettivi sbagliati. Tradizionalmente, sono state violente con i deboli e arrendevoli con i forti; quando colpiscono un regime, finiscono sempre con l’immiserire la popolazione incolpevole, mentre le élite al potere trovano il modo di aggirarle. Si pensi all’Iraq di Saddam Hussein, che le ha sopportate per 13 anni: esse non hanno provocato la caduta di quel dittatore, ma hanno contribuito alla morte di centinaia di migliaia di bambini e anziani, vittime delle mancate importazioni di medicinali, macchinari sanitari ed elettricità. E anche in Iran, rischiano di provocare effetti paradossali. L’embargo internazionale favorisce l’aumento esponenziale del contrabbando e del mercato nero; chi ci guadagna sono proprio le società dei pasdaran e gli uomini più vicini al regime che si arricchiscono e controllano sempre più strettamente l’economia del Paese (a danno dei baazari). Secondo alcune analisi, il crollo della valuta nazionale è anzi favorito dal governo, alle prese con un crescente deficit di bilancio che verrebbe "mascherato" dalla svalutazione. Per altri ancora, la ragione è solo finanziaria: i dollari scarseggiano in Iran, ne circolano sempre meno, e la domanda fa schizzare in alto il prezzo, al di là del reale andamento dell’economia. Certo è che per gli iraniani lo slalom fra prezzi in folle ascesa, stipendi immiseriti e disoccupazione crescente diventa sempre più difficile. La rabbia sembra crescere, ma non è detto che serva a mettere in ginocchio il leader supremo Khamenei, spingendolo alla resa sul nucleare come si spera in Occidente. Anzi, l’ayatollah ha già pronto il capro espiatorio da offrire alla folla: il presidente Ahmadinejad, a lungo suo protetto e poi suo rivale. Sconfitto da Khamenei nella lotta per il potere e alla fine del suo ultimo mandato, è il parafulmine perfetto per il regime.