Opinioni

Le parole cristiane che uniscono. Insensata pretesa usare Chesterton contro il Papa

Andrea Monda giovedì 3 novembre 2016

Se ne vedono tante, sulla Rete. Ma scoprire che da qualche tempo uno scrittore come Gilbert Keith Chesterton (GKC), campione della gioia, dell’umorismo e dell’amore per la Chiesa cattolica, sia utilizzato come un randello contro il Papa è davvero il colmo. Il povero GKC ridotto a malleus pontificorum, chi glielo doveva dire?

È un paradosso che degli oltre duecento sommi pontefici successori di Pietro qualcuno abbia pensato di poter scegliere proprio Francesco, quello che, a partire dal nome che ha adottato, è forse il più chestertoniano di tutti. Paradosso è una delle due parole che uniscono profondamente i tre – Francesco, Chesterton e Bergoglio – sin dall’inizio di questa storia. Il nuovo Papa argentino si affaccia con la forza di chi ha scelto audacemente il nome del Poverello d’Assisi (l’unico santo, insieme a Tommaso d’Aquino a cui Chesterton abbia dedicato una biografia) e compie un gesto letteralmente “rivoluzionario”: saluta e si inchina, lui al popolo e non il contrario. Già qui si può leggere la firma paradossale dell’umiltà propria di Bergoglio come di Chesterton, uno scrittore che ha affermato che l’uomo non è libero se non si inchina in un gesto orante di adorazione, perché «si sente più libero quando è legato, si sente più alto quando si inchina».

L’altra parola è gioia. Una forza (non un sentimento) che nasce dalla convinzione che il Sommo Pontefice non debba pontificare, perché, l’affermazione è di Chesterton ma potrebbe essere anche di Francesco, Gesù «non è venuto in realtà a insegnare nulla. Se c’è un episodio che personalmente mi colpisce come grandemente e gloriosamente umano, è l’episodio del vino per la festa nuziale».

La gioia quindi, quella che sprizza da ogni poro di Francesco, basta vederlo ridere fin quasi alla lacrime mentre parla con i suoi interlocutori, dal semplice ragazzo al primate di Inghilterra, quella gioia che secondo il Papa non è né allegria né tantomeno frivolezza (contro la quale sia l’argentino che l’inglese hanno diverse pagine illuminanti quanto infuocate), quella gioia che è una «virtù pellegrina», che «non può diventare ferma, ma deve andare». Il punto è questo, che Bergoglio è un uomo vivo, agitato da un vento che lo porta a non fermarsi, convinto anche lui come Chesterton che «il marchio della fede non è la tradizione: è la conversione». Da questo punto Bergoglio non assomiglia solo allo scrittore, ma può essere accostato – mutatis mutandis – anche ai suoi personaggi e in particolare a Innocenzo Smith, il protagonista di “Manalive” che vive la propria vita in quanto avventura, come una continua sorpresa, compiendo delle azioni stravaganti e paradossali che gli permettono di ritornare alla fonte di ogni gesto umano per riconquistarlo nella sua freschezza, un uomo vivo che ricrea il mondo così come uscito dalle mani di Dio.

La sua è una serie di comportamenti che di fatto spazzano via l’insidia della routine, quel rischio ricordato dal poeta sudamericano Neruda, «Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine». Forse è in questa schiavitù la spiegazione dell’enigma per cui alcuni cattolici tentano di “usare” Chesterton contro il Papa, in realtà un suo grande alter-ego, che oggi attraversa il mondo lietamente. ©