Opinioni

I giudici e le nozze fra omosessuali. Indebolisce le libertà l’uso strumentale del diritto

Francesco D'Agostino sabato 8 agosto 2009
Hanno diritti gli omosessuali? Assolutamente sì: in quanto cittadini, anzi in quanto persone, essi sono titolari di tutti i diritti umani fondamentali e in modo particolare di quello di non essere vilipesi, ingiuriati, discriminati in ragione del loro orientamento sessuale (e non si farà mai abbastanza per stroncare ogni forma di omofobia). Hanno diritto a convivere, due omosessuali? Ancora una volta assolutamente sì: la convivenza, e più in generale, la vita privata delle persone, purché qualificata da reciproco rispetto, va ritenuta assolutamente insindacabile da parte del diritto e dello Stato. Va riconosciuto a una coppia omosessuale il diritto di sposarsi? Assolutamente no: il requisito giuridico fondamentale del matrimonio è la differenza sessuale dei coniugi: non a caso, nella dottrina civilistica tradizionale l’eventuale matrimonio tra persone dello stesso sesso veniva ritenuto più che nullo, 'inesistente'. Ciò che è in gioco, nel matrimonio, è la costruzione di una comunità familiare, nell’ordine delle generazioni; il che è precluso alle unioni omosessuali. Tolta questa profonda finalità antropologico-sociale, il diritto non ha alcuna ragione per dare uno stato giuridico pubblico alle unioni omosessuali. Si dirà: ma così si violano i diritti delle persone. Per questo diversi Stati hanno aperto il matrimonio agli omosessuali. Chiediamoci però: di quali diritti stiamo parlando? Non dobbiamo infatti confondere i 'diritti' con gli eventuali interessi economici delle coppie omosessuali, che possono senz’altro esistere (e che per la loro quasi totalità possono facilmente essere soddisfatti altrimenti), ma che non per questo soltanto meritano di essere riconosciuti e tutelati pubblicamente (oltre tutto con particolari e ingiustificati oneri per il bilancio pubblico) come diritti fondamentali delle persone. Il punto è che il cuore della questione non è né economico né sociale, ma simbolico. Gli omosessuali chiedono di potersi sposare non per soddisfare un loro 'interesse' ma per dimostrare al mondo di non essere 'diversi'. Il paradosso è che nel momento stesso in cui si sposano la loro 'diversità', anziché essere superata o cancellata, viene invece resa, per dir così, ufficialmente pubblica, in quanto 'istituzionalizzata'. È per questo che la richiesta di accedere al matrimonio non è affatto condivisa da tutti gli omosessuali, anche se mediaticamente di questo si parla fin troppo poco. Il tribunale di Venezia e la Corte d’appello di Trento si sono rivolti alla Corte Costituzionale, convinti che rifiutare il matrimonio agli omosessuali violi i diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione. Ma la Corte è saggia e sa bene che la questione si può sinteticamente ridurre in questi termini: ci si può appellare ai diritti umani fondamentali per dare soddisfazioni simboliche alle persone? La risposta è no: non perché i simboli non siano importanti (tutta la nostra vita ne è intessuta), ma perché i simboli non sono di per sé coniugabili in termini di giustizia, come invece lo sono – e devono esserlo – i 'diritti'. Possedere un titolo di studio ha un alto valore simbolico, ma non si ha 'diritto' a fregiarsene, in assenza di quei requisiti assolutamente oggettivi che bisogna possedere per conquistarlo. L’amicizia tra due persone ha un valore simbolico ancora maggiore, ma non ha senso chiedere alla legge di istituzionalizzarla. Dietro qualsiasi pretesa di uso strumentale del diritto non dobbiamo vedere un ampliamento delle nostre libertà fondamentali, quanto piuttosto e purtroppo un loro indebolimento. Aspettiamo, con fiducia, il responso della massima magistratura del nostro Paese.