Opinioni

Voto in Russia, Francia e Usa. Medio Oriente in trasformazione. Le incognite della discontinuità nello scacchiere del 2012

Vittorio E. Parsi sabato 31 dicembre 2011
È la discontinuità la grande incognita per questo 2012 che va ad incominciare. La discontinuità innanzitutto rispetto a una crisi finanziaria ed economica che, in forme diverse, dura ormai da quattro anni. Si gioca in gran parte su questo, sulla possibilità che finalmente si inverta il trend economico negativo il nostro futuro prossimo venturo. In almeno due dei grandi appuntamenti elettorali previsti – le presidenziali americane e quelle francesi – la crisi giocherà infatti un ruolo decisivo. Le chance di Barack Obama e Nicholas Sarkozy di continuare a risiedere per un altro mandato alla Casa Bianca e all’Eliseo dipenderanno in gran parte dalla congiuntura economica. Più a rischio la rielezione del marito di Carlà: sia perché in Francia si vota in aprile (mentre in America a novembre) sia perché il suo sfidante principale, il socialista Hollande, appare un candidato in grado di impensierire seriamente il presidente uscente. Negli Stati Uniti, almeno per ora, sono i repubblicani i migliori alleati di Obama, per la loro incapacità di individuare un 'campione' credibile per la loro causa. Ma al di là delle tornate elettorali, il 2012 sarà l’anno in cui sapremo se il progetto europeo sarà sopravissuto, rinforzandosi, alla più grave crisi strutturale mai registrata dal suo stesso varo. In questo senso, un cambiamento di leadership politica nei due Paesi più importanti dell’Unione potrebbe essere persino positivo, considerate le performance non certo brillanti realizzate dalla coppia Merkel-Sarkozy. A marzo si voterà anche in Russia, per eleggere il presidente della Federazione. Se la vittoria di Putin continua a essere data per scontata, molto meno certa è l’entità del sostegno che riuscirà effettivamente a mobilitare. Le ultime elezioni politiche, con brogli in stile iraniano (ricordate la contestatissima 'vittoria' di Ahmadinejad nel 2009?), hanno reso ormai evidente l’obsolescenza del regime instaurato da Vladimir Putin: un regime funzionale a portare il Paese fuori dall’era eltsiniana, ancora dominata dal trauma della sconfitta nella Guerra Fredda e dalla fine dell’Urss, ma probabilmente non più adatto a guidare la nuova Russia che lui stesso ha contributo ad edificare. Proprio la crescente inadeguatezza rispetto all’evoluzione della società che dovrebbe governare avvicina la Russia putiniana a molti dei regimi vittime della primavera araba del 2011, pur se nel caso russo gli esiti appaiono per ora molto meno drammatici. E il 2012 sarà probabilmente un altro anno cruciale per il mondo arabo e per tutto il Medio Oriente. L’Egitto dovrebbe completare la sua fase costituente e quello che succederà lì avrà quasi certamente un’influenza decisiva su molti altri Paesi, a cominciare dalla Siria. Nel corso dell’anno la Siria rischia di precipitare in una guerra civile sempre più aperta, con conseguenze potenzialmente catastrofiche per l’intera regione. L’eventuale crollo del regime di Assad e la sua sostituzione con uno di orientamento islamista potrebbe segnare anche un passo ulteriore verso la radicalizzazione religiosa dell’intero Medio Oriente. Un fenomeno che sembra poter riguardare anche lo Stato di Israele, rompendo quell’equilibrio tra laicità e natura religioso­identitaria della cittadinanza che finora era stato in qualche modo mantenuto. Inutile dire che la prospettiva di un Iran nucleare getta ulteriori ombre su un quadro già fosco, e che il generale successo che sembra arridere sempre più all’utilizzo politico della religione nei Paesi musulmani rende ancora più urgente trovare vie di dialogo efficaci con l’islam politico. Il Pacifico sta rapidamente diventando il nuove asse dell’ordine mondiale. Gli effetti della perdurante crisi economica che attanaglia le economie europee, delle incertezze politiche del Medio Oriente e della cronica instabilità africana si assommano alla rampante vigoria dell’Asia orientale. Le due maggiori potenze 'asiatiche', Stati Uniti e Cina, sembrano decise a giocare proprio nel Pacifico una partita cruciale per gli assetti planetari. Se il vertice delle Hawaii aveva messo in luce i possibili motivi di contrasto tra Pechino e Washington, le consultazioni seguite alla morte del dittatore nordcoreano Kim Yong Il illustrano il loro comune interesse alla stabilità dell’area. Proprio la gestione del dossier nordcoreano, che si preannuncia delicatissimo nel corso dei prossimi mesi, potrebbe offrirci più di un’indicazione per capire quale atteggiamento prevarrà. In attesa di sapere, proprio a novembre, quale sarà l’inquilino della Casa Bianca che dovrà occuparsene.