Opinioni

Nell'inclusione intelligente c'è sempre anche l'amore

Marco Tarquinio giovedì 20 dicembre 2018

Caro direttore,

ho letto il commento di Riccardo Redaelli «L’ibridazione del terrore» su “Avvenire” di giovedì 13 dicembre, relativo alla complessa origine del terrorismo nei vari Paesi Europei. Giustamente si sottolinea come i problemi maggiori si trovino in Paesi dove da decenni vivono immigrati che non si sono integrati. L’integrazione è a mio avviso il tema principale che dovrebbe stare a cuore sia a chi dice “respingiamoli tutti” che a chi dice “accogliamoli tutti”. Entrambi infatti concordano che chi è già in Italia difficilmente torna indietro o viene fatto partire. Nel mio quartiere nelle classi elementari difficilmente si arriva al 20%. Nel quartiere vicino, invece, nello stesso tipo di scuola ci sono classi con l’80% di stranieri. Inutile dire che questa composizione non riflette affatto quella della popolazione residente. Mi chiedo che integrazione sia creare scuole-ghetto (senza offesa, solo per capirci!) dove si concentrano stranieri anche dai quartieri vicini. I bambini che oggi frequentano quelle classi si sentiranno Italiani (con la I maiuscola) domani? Non è che queste artificiali suddivisioni pongano le premesse perché in Italia nel futuro avremo figli di immigrati che non si sentiranno per nulla Italiani, e quindi saranno anche potenzialmente pericolosi? Se non vogliamo integrare gli stranieri per convinzione, dovremmo farlo anche solo per interesse, considerando la nostra sicurezza futura.

Michele Caforio Gallarate (Va)


Lei, caro amico, dice: includiamo davvero, e se non «per convinzione» cioè per scelta d’amore, almeno «per sicurezza» ovvero per scelta intelligente. Per mio conto, nella vera intelligenza c’è sempre anche una buona dose d’amore. Soprattutto quando si ragiona e si maneggia la vita di essere umani.