Opinioni

Usa. Incertezza e voglia di cambiare: gli Stati Uniti senza lavoratori

Elena Molinari, New York martedì 6 luglio 2021

Tornare al lavoro a tempo pieno dopo la pandemia fa paura agli americani. E non solo a causa del virus. I lavoratori che, nell’ultimo anno e mezzo sono stati licenziati, o hanno subito tagli di orari o responsabilità, sono incerti, e i loro ripensamenti stanno avendo profondi effetti sul mercato del lavoro a stelle e strisce. Più ancora che di ammalarsi, temono di rivivere il trauma di perdere il posto, a causa di una nuova ondata di coronavirus o dell’avvento di un robot. Li intimidisce anche il dubbio di non essere abbastanza preparati per competere in un mondo del lavoro in trasformazione ancora più rapida che prima dei lockdown. Si spiega così (almeno in parte) lo scenario complicato nel quale le aziende si trovano a operare dopo aver riaperto i battenti.

Mentre il tasso di disoccupazione resta storicamente alto per gli Stati Uniti, infatti, la partecipazione al lavoro si rifiuta ostinatamente di superare il 62%, rivelando che milioni di americani senza impiego non lo stanno cercando. Allo stesso tempo, fabbriche e ristoranti non trovano il personale necessario per ricominciare a produrre a ritmi pre-coronavirus, nonostante una forte domanda di beni e servizi. Secondo uno studio della società di consulenza Deloitte, negli Stati Uniti restano più di 500.000 posti vacanti, soprattutto in ruoli di base, con stipendi modesti, ma dove è comunque necessaria una certa specializzazione. Il centro studi dell’associazione manifatturiera nazionale, il Manufacturing Institute, parla chiaramente di un “divario di competenze” che lascerà 2,1 milioni di lavori vacanti entro il 2030 e potrebbe costare all’economia degli Stati Uniti fino a mille miliardi di dollari.

Molti dirigenti d’azienda attribuiscono la penuria di braccia ai sussidi di disoccupazione – generalmente ben più bassi e di corta durata negli Usa che in Europa – che, durante la pandemia, sono stati prolungati e aumentati. Ma nei 26 Stati dove gli incentivi sono già stati eliminati da alcune settimane, la situazione non è cambiata. "Non è che la gente è pigra, è che vuole qualcosa di più solido a cui tornare – spiega David Autor, economista del Massachusetts Institute of Technology (Mit) – . La pandemia ha messo in luce la vulnerabilità di molti posti e spinto i lavoratori a riconsiderare se valga la pena investirvi. La gente, oggi, evita gli impieghi a bassa retribuzione che offrono poche prospettive di avanzamento e poche certezze per il futuro".

La riapertura sta, infatti, fornendo alle aziende un’opportunità di rivedere il loro modo di operare, e questo crea ansia. Secondo il recente sondaggio “Future of Jobs”, del World Economic Forum, il 43% delle imprese Usa, anche quelle che oggi stentano a riempire i loro ranghi, prevede infatti di ridurre la propria forza lavoro nei prossimi anni a causa delle nuove tecnologie.

Allo stesso tempo, il coronavirus ha avuto un drammatico effetto psicologico sui lavoratori. Un’indagine del Pew Research Center di quest’anno ha rilevato che due terzi dei disoccupati 'considera seriamente' l’ipotesi di cambiare il proprio campo di attività. La percentuale è di gran lunga maggiore rispetto alla Grande Recessione del 2008-2009 e aumenta ulteriormente per gli addetti alla ristorazione, ai viaggi e alla vendita al dettaglio. Più di 740.000 lavoratori hanno lasciato il settore del tempo libero e dell’ospitalità ad aprile, stando al dipartimento del Lavoro Usa, scoraggiati da stipendi insufficienti e dai cambiamenti innescati dalla pandemia.

Il McKinsey Global Institute afferma infatti che il 20% dei viaggi d’affari non tornerà e che almeno un quinto dei lavoratori lavorerà da casa a tempo indeterminato, tagliando il bisogno di personale in hotel, ristoranti e negozi, e accelerando l’automazione dei ruoli di supporto degli uffici. «Gran parte dei posti di lavoro a basso salario nella vendita al dettaglio e nei servizi scompariranno nei prossimi anni – afferma Susan Lund, capo del McKinsey Global Institute –. Significa che avremo bisogno di molti più programmi di formazione e credenziali a breve termine per aiutare un pony express o un cameriere a trasformarsi, per esempio, in operaio specializzato o in autista di camion». Il numero di lavoratori che necessitano di riqualificazione potrebbe essere dell’ordine di milioni, secondo McKinsey.

Un primo segno della forte domanda di formazione professionale viene dal Michigan. Lo Stato ha utilizzato parte dei fondi ricevuti dal governo federale come stimolo anti-pandemia per creare un programma di corsi professionali gratuiti. Più di 100.000 persone hanno presentato domanda nella prima settimana. Ma si tratta di una goccia nel mare del bisogno di formazione, al quale il governo federale non ha ancora risposto. Il pacchetto di incentivi da 1.900 miliardi di dollari proposto dal presidente Joe Biden, ad esempio, non include alcun finanziamento specifico per la riqualificazione.

Sebbene molti dei 20 milioni di disoccupati vogliono aumentare le proprie competenze, è spesso difficile prevedere quali settori dell’economia registreranno una crescita sostenibile o saranno immuni dall’automazione o dall’avvento dell’intelligenza artificiale. Il risultato è un fortissimo turnover nei posti meno qualificati, con i lavoratori che cercano condizioni migliori approfittando della domanda di manodopera, sapendo che non resteranno allo stesso posto a lungo. "C’è molto ricambio nei lavori a basso salario in cui la progressione di carriera è modesta o inesistente – dice ancora David Autor del Mit –. Se trovi un lavoro che offre solo marginalmente di più, non ti costa nulla cambiare".

Mentre cercano di guadagnare le competenze necessarie per il loro prossimo passo di carriera, infatti, molti ex disoccupati sbarcano il lunario con lavori provvisori nei magazzini (il cosiddetto “effetto Amazon”), duri, ma in genere meglio pagati che nella ristorazione o nell’assistenza sanitaria a domicilio, dove la paga di base è di poco più di 10 dollari l’ora, senza ferie né malattia pagate.

La speranza degli economisti è che il bisogno di personale qualificato spinga le aziende a fornire programmi di formazione o a chiedere agli Stati di farlo, mentre la fine delle chiusure forzate di uffici e scuole allevia l’ansia del lavoratori americani. «La pandemia è stata davvero stressante – conclude Anthony Klotz, docente di management presso la Texas A&M University – e ha causato molta incertezza, non è sorprendente che molti ora approfittino di un mercato del lavoro vivace per prendersi il tempo di riflettere sulla loro vita professionale».