Opinioni

La Storia, l'odio e noi. In un granello di sabbia

Matteo Corradini sabato 27 gennaio 2024

Matteo Corradini

L’ondata di esposizioni e iniziative sulla Shoah degli anni ’90 e dei primi 2000 era intrisa della certezza di essere efficace. I milioni di visitatori di tutte le età avrebbero imparato la Storia e fin dove poteva spingersi l’odio, e così facendo avrebbero smesso di odiare gli ebrei. O di odiare in genere. Passata una generazione, oggi sembra difficile visitare un museo, organizzare un percorso sulla memoria della Shoah o uno spettacolo, visitare un luogo di sterminio con un gruppo di adolescenti, senza la sensazione che le nostre certezze siano meno solide di un tempo.​ Come adulti siamo stati presuntuosi, in fondo, a ritenere che un fatto del passato, così lontano dall’identità e dall’immaginario dei giovani, risultasse automaticamente importante anche per la generazione successiva. E di questa spocchia soffre il 27 gennaio come soffrono il 25 aprile o il 25 dicembre. Faticando a prenderci una responsabilità per il futuro, ci concentriamo sulla cristallizzazione del passato.

Velocità e oblio sono cugini. Tutto il rapidissimo digitare, essere stimolati, postare per dimostrare la propria esistenza, rincorrere nuovi stimoli, digitare di nuovo… sembra spezzare il legame stretto tra lentezza e memoria. E questo riguarda adulti e giovani, senza differenze. Ma noi adulti più facilmente accusiamo l’adolescente di bassa conoscenza dello sterminio e di scarso interesse (anche alla luce dei sondaggi), e più difficilmente ci poniamo domande di senso, ricerchiamo linguaggi differenti, chiediamo a ragazze e ragazzi una corresponsabilità concreta, pragmatica. Perfino spiazzante. È bene invece domandarsi che cosa desideriamo ricordare, chi siamo noi quando ricordiamo, e chi sono gli adolescenti quando fanno memoria.

Wisława Szymborska ha scritto una poesia su un granello di sabbia che sembra perfetta per raccontare un adolescente di quelli che conosciamo o di quelli che siamo stati: «Lo chiamiamo granello di sabbia. Ma lui non chiama sé stesso né granello, né sabbia». Da più di vent’anni incontro ragazzi e adolescenti su questo tema e ho visto solo il bene. Tra teatri e biblioteche ho visto interesse, occhi lucidi, passione, coinvolgimento. In quell’ultimo luogo di vero scambio culturale che è la Scuola, ho compreso per tempo che il rapporto con la memoria, se si tratta di giovani, è rispettoso del passato tanto quanto è rispettoso degli esseri viventi del presente, del loro linguaggio, dei loro problemi e delle loro bellezze. Le certezze dividono, e averne sulla Storia significa davvero averla fraintesa. C’è una fragilità positiva attorno alla quale possiamo invece costruire percorsi della Memoria: è una fragilità umana, che non rende i giovani recettori passivi di un messaggio, ma partecipanti indispensabili del messaggio e del suo senso.

È un granello di sabbia. È una fragilità che ci mostra le vittime e i carnefici, e ci mette a confronto col bene e, cosa perfino più necessaria, col male. È una fragilità che fa comunità. La comunità, anche quella di ragazzi e ragazze, è l’insieme dei legami. Ieri come oggi. Di cosa siano fatti questi legami, è l’etimologia stessa della parola a dircelo: comunità deriva dal latino munus, che significa dono. Per la sua etimologia, la communitas non è dunque qualcosa che si possiede, che esiste di per sé, che si controlla e si governa, ma è l’insieme di persone che decidono di unirsi perché legate da un dono. Per un adolescente, il dono che lo lega ad altri è composto di amicizia, musica, passione. Forse è anche un dono di Memoria? La Memoria fa comunità? Io credo di sì, ma solo se liberata. Dalle interpretazioni simboliche, dalla metafora, dalla cerimonia, dalle similitudini con il presente. Quando educhi qualcuno, il tempo si annulla. Vedi e conosci il suo passato, affronti il presente, hai negli occhi la persona che diventerà in futuro. Troppo spesso fraintendiamo il Giorno della Memoria come un’occasione di divulgazione, ma fare Memoria non è fare Storia. Per ragazzi e adolescenti significa ricomporre quello specchio rotto che è il passato per potersi vedere per davvero. Se terremo lontano il passato dalla vendetta e lo apriremo all’immaginazione del presente, accadrà l’incantesimo. Oggi, per un istante doloroso e commovente e fragile, il tempo, il nostro tempo, si annullerà.