Opinioni

Perché tanto sdegno per l'uccisione di un animale. In morte di un vecchio leone

Antonella Mariani sabato 1 agosto 2015
È davvero esagerato chiedere giustizia per un leone ucciso in Zimbabwe da un cow boy americano che inseguiva una sua bieca idea di divertimento? È davvero perdere il senso della misura di fronte a drammi planetari irreparabili, come la morte di un bimbo di 18 mesi, arso vivo in Cisgiordania? Con queste domande entriamo nel cuore di una questione che anima da qualche giorno le bacheche degli internauti. Un milione di firme sono state raccolte da una petizione online per mandare in tribunale il destista del Minnesota (che risulta irreperibile, speriamo chiuso in uno stanzino senza finestre, rosso di vergogna e nero di rimorso) che ha organizzato il suo personale viaggio-avventura in Africa sborsando l’equivalente di una decina di apparecchi correttivi per i denti. Centomila suoi connazionali hanno scritto alla Casa Bianca chiedendo di consegnare Walter Palmer allo Zimbabwe. Un’ondata di sdegno internazionale con qualche eccesso, non c’è dubbio, perché c’è anche chi invoca il linciaggio del reo confesso. Ma il semplice fatto che la gente protesti per un reato non sminuisce, di per sé, la gravità di altri in cui le vittime sono esseri umani e non animali. L’indignazione per l’uno non annulla lo sdegno per l’altro. L’uccisione di un leone, e di quel leone in particolare, un vecchio esemplare di 13 anni, diventato l’emblema di un modo di concepire il turismo e la natura, accompagnato da un autentico interesse nella salvaguardia delle specie in via di estinzione, è oggettivamente un fatto grave. Lo è anche per le modalità con le quali è avvenuto. Con protervia, con un’arroganza che qualcuno si spingerà a definire neocolonialista (o perché no, imperialista!), con un sadismo aggravato dai «futili motivi». Insomma, lo si potrebbe definire un vilipendio della natura nella sua forma più nobile e selvaggia. È lecito scomodare Papa Francesco per una vicenda di cronaca come questa? Forse sì. Nell’enciclica Laudato si’ si incontra la condanna della «cultura del relativismo: se non ci sono verità oggettive né principi stabili» «che limiti possono avere la tratta degli esseri umani (...), il commercio di pelli di animali in via di estinzione? ». Cecil è rimasto vittima di una «visione relativista» della vita. Relativista e, aggiungiamo, la bestia in questo caso non era lui.