Opinioni

Botta e risposta. In colpa perché avrò la quota 100? «No, ne ha diritto e se la merita»

Francesco Riccardi sabato 12 gennaio 2019

Gentile direttore,
ammetto pubblicamente di essere uno tra i molti possibili beneficiati da «quota 100». Ma le confesso di non sentirmi in colpa verso i giovani, perché anche con un andamento dell’economia favorevole l’occupazione giovanile non ha certo invertito la tendenza in modo strutturale, evidentemente le ragioni stanno, forse, nella differenza tra le imprese che operano per i mercati internazionali e quelle che lavorano per la domanda interna. Comunque, i miei sensi di colpa dovrei trasferirli a coloro che hanno consentito per anni di discriminare e non applicare la Costituzione nei confronti delle molte persone con disabilità a cui è negata l’opportunità di una vita dignitosa. Io sono invalido civile al 50%, certificato ovviamente, iscritto al collocamento obbligatorio, senza però alcun beneficio. Sono in Naspi e i miei 247 giorni mi scadono a febbraio. Ho riempito più moduli che ricevuto indicazioni di lavori possibili. Io penso che ci sia anche una violazione dei diritti Costituzionali, ma chi ne parla? Mi creda non mi sento proprio in colpa.

Massimo Petrella

Ha ragione a non sentirsi in colpa, gentile signor Petrella. Il direttore mi incarica di risponderle e le dico anzitutto che quando si va in pensione, magari anche precocemente, ma in virtù di una norma approvata dal Parlamento, si è comunque nell’ambito delle possibilità offerte dalla legge e dunque non si “ruba” nulla agli altri. Se proprio si vuole individuare una responsabilità per la più o meno equa allocazione delle risorse economiche fra le diverse generazioni, questa non può ricadere nemmeno moralmente sul singolo fruitore, ma eventualmente in chi progetta e approva le riforme pensionistiche. L’eventuale maggior deficit nei conti previdenziali che si dovesse determinare per la famosa «quota 100», insomma, non potrà essere addebitato a chi deciderà di usufruirne, semmai a chi ne ha fatto, prima, un cavallo di battaglia per anni e, poi, un provvedimento di governo. Nel suo caso, inoltre, lei lamenta anche il mancato rispetto del dettato costituzionale e delle norme in materia di collocamento obbligatorio degli invalidi. Anche su questo, come darle torto? La legge 68/99 che regola il diritto al lavoro dei disabili è tra le migliori normative a livello europeo, ma risulta purtroppo ampiamente disattesa, con moltissime imprese che eludono l’obbligo di inserimento in organico dei disabili. Il Jobs Act ha modificato la norma, da un lato rendendo più facile l’incontro diretto fra aziende e persone con invalidità ma, dall’altro, “svuotando” di fatto il collocamento obbligatorio da parte dei Centri per l’impiego. I dati non sono recentissimi, perché l’ultimo monitoraggio organico svolto dall’Isfol è riferito al 2013, ma risultano sconfortanti. A fronte di 676mila iscritti al collocamento obbligatorio, infatti, in quell’anno solo 18mila hanno trovato un’occupazione, di cui appena 6mila a tempo indeterminato. E ciò nonostante siano decine di migliaia i posti “vacanti” delle quote riservate ai disabili, sia nelle imprese private sia in quelle pubbliche. Adesso occorrerà valutare l’efficacia dei “Patti per il lavoro” previsti dal Reddito di cittadinanza per gli invalidi parziali disoccupati. C’è da sperare che il prospettato rilancio dei Centri per l’impiego e gli incentivi al collocamento dei disoccupati creino maggiori opportunità per tutti. Nel frattempo, sinceri auguri per la sua nuova vita da pensionato. Credo la meriti tutta.