Opinioni

I caregivers. Impresa difficile e possibile è curare i nostri vecchi

Marco Trabucchi martedì 21 gennaio 2020

Un'anziana a passeggio, sorretta dalla figlia

Caro direttore,

la pagina sul caregiving, curata domenica 19 gennaio 2020 con intelligente saggezza da Fulvio Fulvi, mi induce ad alcune osservazioni tra il tecnico, come mi impone la professione, e il civile, cioè come cittadino che vive le difficoltà del nostro tempo. Potrei aggiungere anche il livello etico, sebbene sia argomento che non mi compete, perché il caregiving famigliare è l’espressione più alta di un amore che qualcuno ritiene in crisi ma che, invece, nelle situazioni di difficile donazione esprime il massimo della sua nobiltà.

Dobbiamo aiutare chi aiuta; oltre a quella divulgativa, la letteratura scientifica recentemente ci ha spesso richiamato al dovere di non abbandonare chi si dedica alle persone che hanno perso la capacità di vivere in maniera autonoma. Perché questo interesse della medicina e della ricerca su tema in passato ritenuto marginale? Perché si è compreso che una cura adeguata e generosa contribuisce in maniera rilevante a difendere gli spazi di salute - pur minimi - che caratterizzano la vita di tante persone; l’atto assistenziale assume valore clinico, costruendo un impegno di cura che non ha confini.

Qualcuno si è impegnato a dimostrare anche la valenza economica del caregiving rispetto al costo totale di una persona non autosufficiente; in un’epoca in cui tutto ha un peso anche questa può essere una motivazione per chiedere maggior impegno pubblico a favore delle famiglie in difficoltà.

Ma ancor più vale il riconoscimento formale e sostanziale, da parte dello Stato e delle sue articolazioni, che l’assistere chi ha bisogno di accompagnamento affettivo, tecnico e organizzativo rappresenta un atto rilevante per costruire capitale sociale, cioè una comunità dove ciascuno trova un proprio posto e dove nessuno è abbandonato. In tempi di crisi della nostra convivenza, una politica seria dovrebbe capire che il riconoscimento del lavoro di cura è un atto doveroso sia di per sé, ma soprattutto perché questo atto d’amore, che è anche tecnico, rappresenta il modo più nobile per dare senso a una collettività alla ricerca di una strada comune.

Il progresso tecnologico offrirà presto la possibilità di lenire in modo sostanziale gli aspetti più rilevanti della fatica fisica imposti dal caregiving; non riuscirà mai però a dare un contributo importante per controllare la 'fatica' psichica, la frustrazione di relazioni talvolta difficili, le solitudini di una condizione che spesso isola dal resto della famiglia e della comunità. Allora, ancor più di oggi, comprenderemo che essere vicini con serietà e impegno a chi dona mani, cervello e cuore per aiutare l’altro contribuisce a costruire una società coesa, che, anche nel tempo dei grandi cambiamenti indotti dal progresso tecnologico, sa ancora conservare una speranza.

Associazione Italiana di Psicogeriatria