Opinioni

Le mani sulla città. Imprenditori, l’ora del mea culpa

Andrea Lavazza sabato 7 giugno 2014
​Le mani sulla città. Ed è ancora poco il riferimento al famoso film di Francesco Rosi, se saranno confermate tutte le accuse che la Procura ha messo in fila con un’attività investigativa apparentemente assai accurata. Lo spregevole Edoardo Nottola nella finzione degli anni 60 era sia costruttore sia consigliere comunale e infine assessore. E anche nell’opera-denuncia, purtroppo mai passata di moda, l’enfasi dello sdegno si appuntava su una politica ingorda e sorda alle vere esigenze della gente. Ma lo spaccato che emerge dalla carte giudiziarie veneziane non dovrebbe fare velo sulla grande responsabilità di una certa, deviata, imprenditoria che ha messo a libro paga amministratori e controllori di ogni ordine e grado per avere le mani totalmente libere, eludendo verifiche, riscrivendo le regole, comprando il silenzio soddisfatto di ogni voce rilevante.Sempre che le imputazioni vengano confermate, il Consorzio Venezia Nuova, con la sue imprese attuali e le altre che si sono alternate in passato, era il cinico dominus che approfittava dalla debolezza, dell’avidità e dell’acquiescenza della classe dirigente per controllare appalti e aumentare i propri guadagni. Non si tratta di stilare classifiche di immoralità: in un simile scenario, i politici tradiscono un mandato popolare, i magistrati contabili e i funzionari pubblici rinnegano il loro primo dovere verso la collettività. Non si può però liquidare il ruolo di "inquinatore" di un gruppo (verrebbe da dire una "cosca") di uomini d’affari e d’impresa con la scusa della burocrazia farraginosa, del "fan tutti così, altrimenti si esce dal mercato", dello "sta agli altri rifiutare la corruzione". Giovedì il presidente degli industriali di Belluno lamentava la bocciatura di Cortina come sede dei Mondiali di sci per il 2019 a favore della Svezia e l’attribuiva anche al colpo d’immagine subito dal nostro Paese con la Tangentopoli nella non lontana Laguna.Sta proprio qui la miopia di una classe imprenditoriale che non sa vedere che con il malaffare desertifica il terreno proprio e, quel che è più grave, dell’imprenditoria sana che, così, è penalizzata due volte. «Puliamo la fedina penale del nostro Pil, che ci ha danneggiato perché fa perdere credibilità», ha detto ieri Marco Gay, presidente dei giovani industriali. È tempo che anche in questo mondo, che spesso rimprovera alla politica inazioni e ignavie, si passi dalle parole ai fatti.