Opinioni

Il caso di maltrattamenti all’asilo nel Rodigino. Imparate, anti-maestre: insegnare è amare

Ferdinando Camon giovedì 12 febbraio 2015
Càpitano in tutta Italia, al Nord come al Sud, scene come quella che adesso racconterò. E non ci facciamo più attenzione. Però questa è successa vicino a me, qui nel Veneto, due giorni fa, a Rovigo, i giornali locali la riportano tutti, e non posso non notarla. Si tratta di maestre d’asilo che maltrattano i loro bambini. Li picchiano, gli mollano ceffoni, li strattonano, li fanno piangere, e quando piangono li minacciano ancora. Stavolta la polizia ha diffuso la notizia con abbondanti dettagli. E guardarli può servirci a capire questi episodi ricorrenti. Che cosa fanno, queste maestre sbagliate, ai bambini?«Li obbligano a stare seduti»: è un modo per fargli capire che non sono liberi, li hai in mano tu. Ho assistito all’interrogatorio di un arrestato in una stazione di carabinieri. Portato davanti all’ufficiale, l’arrestato si sedette. «Si alzi», ordinò l’ufficiale. Quello si alzò. E l’ufficiale: «Si sieda», e quello sedette. Così aveva capito che non poteva fare tutto quello che voleva, ma solo quello che gli veniva detto. I bambini a casa si alzano, si siedono, si rotolano, come vogliono. Più si muovono, più la loro madre è contenta. In questo asilo no. Così imparano due cose: che l’asilo non è come la casa e che la maestra non è come la mamma. Quel che dovrebbero imparare è l’esatto contrario: che l’asilo è la prosecuzione della casa e che la maestra è un’altra mamma. Queste maestre sono anti-maestre.«Un bimbo piange a dirotto e per farlo smettere la maestra gli scuote con violenza un braccio, urlandogli a un palmo dal viso»: urlare da vicino vuol dire urlare più forte, e il principio è che, più forte urli, più ti fai ubbidire. Tutto il primo tempo di Full Metal Jacket è un urlamento continuo del sergente istruttore sui marines reclute. A Fossoli prima, e ad Auschwitz poi, Primo Levi era impressionato dalla forza con cui gli urlavano gli ordini. Sto forse dicendo che i prigionieri si sentono bambini? Esattamente. Anche loro, come i bambini, non capiscono gli ordini, ma capiscono che, se sono urlati, vanno eseguiti subito, anche se non si sa come. So bene che un asilo-nido non è un lager, ma mettiamoci nei panni dei bambini: passano dalla madre, che li ama infinitamente, a donne sconosciute, che gli urlano sul naso. È la fine del mondo.«La maestra porta via il piatto a un bambino benché quello non abbia ancora finito di mangiare»: accettare il cibo dentro di sé è come accettare il mondo, un buon rapporto col cibo è un buon rapporto col mondo, l’anoressia e la bulimia sono sintomi di un cattivo rapporto col mondo. Portandogli via il piatto prima che il piccolo finisca di mangiare, la maestra gli tronca il rapporto col mondo, glielo nasconde.«Una maestra prende della carta assorbente e pulisce il viso di una piccola abbassandole la testa all’indietro e strofinandole la faccia per un tempo sproporzionato»: è un gesto volgare, che rende volgare l’oggetto su cui è compiuto, e cioè il viso della bambina, trattato con indelicatezza, con fastidio, con astio. Con schifo. La bambina a casa è abituata a sentire che la parte di lei trattata con più amore è la faccia: che occhi, che bocca, che naso... la bambina amata si sente "preziosa". Questa si sente spregiata, e quindi spregevole. Con un simile trattamento, la bambina perde la stima di sé. Si disprezza. Domani, a scuola, stenterà. E noi genitori ci domanderemo perché. Ecco il perché, è qui, all’asilo.Sono maestre "stupide"? Ma no, non abbiamo nessun elemento per dirlo. Forse quelle poche cose culturali che insegnano, le insegnano anche bene. Non è la cultura che manca. È l’amore. Forse queste maestre a casa hanno dei bambini e gli vogliono un sacco di bene. Il fatto è che per fare la maestra, alle elementari ma anche all’asilo, devi amare i bambini come tali, anche i bambini degli altri, tutti i bambini: la maestra dev’essere una "madre collettiva". Insegnare è amare, e viceversa.