Opinioni

In continua ricerca di «casus belli» . Il partito della crisi

Sergio Soave mercoledì 17 luglio 2013
Un giorno sì e l’altro pure emergono tensioni po­litiche che mettono a rischio la tenuta del go­verno. Dopo la questione degli aerei F35, che sem­brava dovesse determinare una pesante spaccatura tra i democratici, che invece hanno partecipato abba­stanza disciplinatamente al voto della mozione di maggioranza in Senato, ora a provocare quella che poco fantasiosi commentatori chiamano 'fibrillazio­ne' è il cosiddetto «scandalo kazaco». Il merito della questione sarà sviscerato nel dibattito parlamentare, ma Enrico Letta si è già assunto l’onere politico di e­scludere responsabilità dirette sue o dei ministri in­teressati, assicurando nel contempo che chi ha com­messo errori ne pagherà il conto. Il merito, però, in­teressa poco chi ha tutta l’intenzione di fare di que­sto spiacevole incidente un pretesto per rendere ine­luttabile una crisi di governo, che sarebbe l’ovvia con­seguenza di un voto di sfiducia individuale nei con­fronti di Angelino Alfano, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, le cui ragioni sono state già so­stenute dallo stesso premier.
L’argomento addotto, quello della «responsabilità og­gettiva », cioè puramente formale e del tutto indiret­ta, di un ministro che era in carica da pochi giorni, ma che viene accusato di non controllare perfettamente tutti i gangli di un ministero assai complesso, è fragi­le eppure contundente. È comprensibile che venga utilizzato dalle opposizioni, dal Movimento 5 Stelle e da Sinistra e libertà o anche dalla Lega Nord, interes­sata a distogliere l’attenzione dalle intemperanze in­tollerabili di Roberto Calderoli. Più difficile, invece, è capire che interesse o che ragionamento spinga set­tori del Partito democratico a sostenere la campagna per le dimissioni di Angelino Alfano condotta con grande decisione dal quotidiano di proprietà di Car­lo De Benedetti, 'La Repubblica'.
C’è chi pensa che far saltare ora il governo Letta gio­vi a Matteo Renzi, le cui dichiarazioni, per la verità ovvie, sul fatto che l’intesa straordinaria tra Pd e Pdl non è destinata a durare in eterno, sono state inter­pretate proprio come una specie di preavviso di sfrat­to per l’inquilino di Palazzo Chigi. Renzi avrà modo di precisare le sue intenzioni meglio di come abbia già fatto, con smentite estemporanee che non hanno dis­sipato tutti i dubbi. Oggettivamente, però, non si ca­pisce che interesse avrebbe il sindaco di Firenze a creare, in una fase precongressuale in cui è impegna­to a presentarsi come leader rinnovatore ma unifi­cante, una frattura con Letta che peraltro, se liberato da impegni di governo, diventerebbe il naturale an­tagonista di Renzi nella corsa interna, e con buone possibilità di successo.
Più in generale, è abbastanza evidente come non convenga, persino da un punto di vista strettamente utilitaristico, al Pd assumersi la responsabilità di una crisi al buio, come accadrebbe se votasse la sfiducia individuale a Alfano, per giunta pochi giorni prima di una attesissima sentenza, quel­la definitiva della Cassazione sul procedimento a ca­rico di Silvio Berlusconi, che diventerà in ogni caso un dato nuovo del quadro politico, e che potrebbe per­sino sconvolgerlo. Considerazioni elementari come quelle esposte o al­tre più rilevanti, legate all’interesse del Paese per man­tenere un minimo di stabilità in una fase in cui non sono certo scomparsi i pericoli di un ulteriore avvita­mento della crisi economica e sociale, dovrebbero spingere alla prevalenza di un atteggiamento di re­sponsabilità.
Ma non ci si può nascondere che esiste, ed è assai forte, anche un 'partito della crisi', costi­tuito da chi vede come il fumo negli occhi una sia pur provvisoria stabilizzazione dell’equilibrio su cui è co­stituito il governo e da chi pensa che nella situazione di tensione e di marasma che si creerebbe si possono ben affermare – a destra come a sinistra – ipotesi di più radicale polarizzazione. È la pressione di questo 'partito della crisi' a trasformare ogni difficoltà e o­gni incidente in un casus belli , presentato come quel­lo decisivo per farla finita col governo Letta. Ma sino­ra, nei casi precedenti, si è riusciti a far prevalere la con­tinuità e la collaborazione, faticose eppure possibili ed utili al Paese. Non è detto che anche questa volta non vada a finire così. ​