Opinioni

Il caso Pistorius nel giorno contro la violenza delle donne. Il nome da ricordare

Alessandro Zaccuri venerdì 15 febbraio 2013
Il primo verdetto non l’hanno emesso i tribunali, ma gli sponsor. E anche in questo – ammettiamolo – potrebbe esserci una tragica giustizia. Oscar Pistorius è stato appena incriminato dalla polizia sudafricana per l’omicidio della fidanzata Reeva Steenkamp e subito la rete via cavo Dstv si affretta a cancellare la campagna pubblicitaria di cui "Blade Runner" è protagonista. Sì, perché Pistorius è proprio quel Pistorius, il ragazzo che neppure una duplice amputazione alle gambe è riuscita a fermare. Le avveniristiche protesi in fibra di carbonio, i record paralimpici polverizzati uno dopo l’altro, la lunga battaglia per essere ammesso a gareggiare con i normodotati, culminata infine nella partecipazioni ai Giochi di Londra 2012.Uno degli atleti più famosi al mondo, proprio come lei, Reeva, era una delle donne più belle al mondo. Meno conosciuta fuori dal Sudafrica, la sua era comunque una di quelle storie che suscitano ammirazione e, sotto sotto, incutono soggezione: laurea in giurisprudenza, un passato da top model, un presente da celebrità televisiva (stava per partecipare a un reality, i cui spot tardano invece a essere sospesi...), oltre che da ambasciatrice contro la violenza sulle donne. È stata uccisa ieri, il giorno in cui la tradizionale ricorrenza di San Valentino, festa degli innamorati, si intrecciava con la danza planetaria del «One Billion Rising», denuncia collettiva del cosiddetto «amore criminale». Al momento non è dato sapere che cosa sia veramente accaduto a Pretoria. Pistorius si è difeso sostenendo di aver sparato per errore, avendo scambiato Reeva per un ladro. Una versione che non ha convinto gli inquirenti, insospettiti dalle dichiarazioni dei vicini (prima dei quattro spari, dalla villa del velocista si erano levate grida di donna) e dalle precedenti richieste di intervento provenienti dallo stesso indirizzo. La caccia al retroscena, infatti, si è già scatenata. Pistorius sorpreso a guidare ubriaco. Pistorius che sbatte la porta in faccia a una donna, che si lascia andare a minacce, che tra i compagni di gara è temuto per i suoi scatti d’ira. È la retorica del «lato oscuro», uguale e contraria rispetto a quella che ha fatto del corridore mutilato un eroe capace di sfidare destino e pregiudizio, uscendo comunque vincitore da ogni battaglia. È il paradosso di una società che da un lato proclama la propria distanza da ogni fede e da ogni esperienza del sacro, ma dall’altra non fa altro che sacralizzare le imprese di sportivi e cantanti, di manager e attori (i quali, non per niente, hanno da tempo ottenuto lo status di «divi»).Riflessioni legittime, che però nascondono un rischio. Quello, cioè, di concentrare l’attenzione sulla caduta di Pistorius, finendo per cancellare la morte di Reeva. Certo, le analogie non mancano. Altri campioni si sono di recente ritrovati nella polvere: l’americano Armstrong, l’italiano Cipollini e l’elenco potrebbe dilatarsi a volontà, fino a includere il caso forse più ogni altro simile a questo. Ne fu protagonista O.J. Simpson, la leggenda del football americano che negli anni Novanta fu processato per l’uccisione della ex moglie, venendo poi assolto in modo clamoroso quanto controverso. Il suo nome, ancora oggi, lo ricordiamo bene. Ma quello della vittima?Qualcosa di analogo sta accadendo in queste ore anche in Italia, con la scarcerazione di Ruggero Jucker, il rampollo della borghesia milanese che nel 2002 massacrò in maniera orribile la fidanzata. La ragazza si chiamava Alenya Bortolotto, la moglie di Simpson era Nicole Brown. Le loro storie sono state dimenticate troppo in fretta, per lasciare posto alla leggenda nera dei loro carnefici. Potrebbe accadere anche per Reeva. Oppure, finalmente, potremmo cominciare a ribellarci. Potremmo, anzitutto, ricordare.